Mulino a Vento

10-06-12

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IL MULINO A VENTO SUL POGGIO DI CAMPIGLIA

di   GIUSEPPE   FASOLI

Salviamo l'ultimo "Torretto" che ci resta. Non si consideri questo invito più di quanto esso significa: fare anche le piccole cose è aver fiducia nel futuro e non mancare del necessario impegno per risolvere i problemi ben più gravi nella realtà spezzina.
Sono portato a ritenere - per l'attaccamento alle antiche memorie che si riconoscono negli spezzini - che quando essi si trovano davanti al quadro di Agostino Fossati, con il quale ci è stata tramandata l'immagine del Mulino a vento sulla scogliera di Ferara, (quella che, sino alla metà dell' 800, si protendeva ai piedi della collina dei Cappuccini nelle acque del Golfo), siamo presi da un amaro senso di rammarico, perché l'antico  "Torretto"  è purtroppo andato distrutto.  Tanto esso faceva parte caratterizzante del paesaggio sul Golfo che addirittura la via, (che,  partendo dalla porta per Roma e perciò chiamata "romana", si apriva a sud-est della cintura muraria medioevale, essa pure dipinta dal Fossati in un altro famoso quadro), prendeva appunto, e conserva ancora oggi, il nome di Via del Torretto.
La costruzione cilindrica che si elevava (ormai corrosa alla radice)  sugli scogli, fu abbattuta nel secolo scorso, quando fu realizzato il molo del porto nuovo e vi fu fatta giungere quella che,  in riva allo specchio della vecchia area portuale, fu chiamata e si chiama ancora "Passeggiata  Morin", ed il vecchio porto era sul prolungamento di via del Prione, al termine dell'attuale Viale Diaz, ai giardini.
Non penso che, se il rudere del vecchio "Torretto"  del mulino a vento ancora emergesse sulla scogliera (quella stessa che servì ad Andrea Doria come pontile di imbarco per la flotta con la quale si apprestava ad andare ad una "crociata" contro i musulmani di Algeri) ci sarebbe un qualsiasi Amministratore responsabile nella città, che oserebbe dare il consenso di abbatterlo, come purtroppo allora fu dato.
Il golfo della Spezia ha una sua particolarità: nessun grosso corso d'acqua si scarica in esso. Tanto è particolare l'orografia della cerchia collinare e montana che fa da corona, appunto, al Golfo (scoscendimenti ripidi e brevi, quindi impossibilità ai rigagnoli,  più che ai torrenti, di confluire in un unico grande alveo -  l'unico era forse il torrente "Strarolo"  che esso pure, però,  è scomparso con la realizzazione dei bacini dell'Arsenale Militare) tanto che, appunto, nessun grande, se si può dire, corso d'acqua vi prende il nome di fiume, nella poco estesa pianura sottostante.
I corsi d'acqua che la segmentavano non a caso si chiamavano "canali", tanto calmo era il loro defluire verso il mare vicino: Canale Caporacca  a  Marola,  Canale di Biassa  a Pegazzano, Canale Lagora (collettore); Canale dell'Ora (da cui il nome Valdellora); Canale Rossano, Canale della Dorgia (vecchia e nuova) ed infine Canale di Fossamastra  (cioè "fossa maestra").
Il nome di "canale" che assumevano i corsi d'acqua faccia comprendere che essi, nel piano, non erano vorticosi e che la loro portata non era idonea a muovere le macine dei mulini.
Comunque alla Spezia due vie conservano il nome di "via dei Mulini" : la più conosciuta è quella che da  via Napoli porta a via Roma (in prossimità di piazza Ramiro Ginocchio)  e l'altra  è di lato al vecchio mercato all'ingrosso, trasversale di Viale Amendola.
Mulini ad acqua, quindi, molti comunque ne esistevano, ed erano in prevalenza frantoi di ulive, ma anche frantoi per castagne, per avere la farina per la "santa pattona".
Ed eccoci giunti a dire qualcosa sui "mulini a vento" : perché in riva al mare, in siti ventosi  (come si verificava in altre zone della Liguria, dove non si potevano utilizzare corsi d'acqua, e della vicina costa della Provenza, in Francia,  anche nelle nostre Cinque Terre e nella piana di Luni) i nostri antenati avevano pensato ad erigere e a far funzionare  "mulini a vento".
Uno di questi era il "torretto" in fondo al Golfo. Che la punta della scogliera di "Ferara" , su cui il mulino sorgeva, fosse un sito particolarmente ventoso, anche in tempi più recenti se ne è avuta una prova non empirica, ma scientifica.
( Mulino a La Spezia )
Il più autorevole metereologo che Spezia abbia mai avuto, è stato senza dubbio Giovanni Sittoni. Egli è conosciuto più come antropologo.
Ma fra le opere che egli promosse vi è il gabinetto di meteorologia che proprio egli volle che fosse impiantato sulla torre del Palazzo Civico,  cioè nel sito ove sorgeva il vecchio "Torretto".
Ma, si ripete, altri mulini a vento c'erano nel Golfo, anche se i ruderi delle loro strutture, cilindriche (per facilitare alle pale di ruotare lungo la circonferenza, ciò che sarebbe stato impedito da torri a base quadrata) e perciò facilmente riconoscibili, o sono andati distrutti essendo andati in disuso, ed essendosi invece estese le aree edificabili per  abitazioni, oppure oggi sono chissà dove, nascosti  da ramaglie di rovi e conosciuti soltanto dai proprietari dei terreni. Costoro sono portati a pensare che quella strutture sassose a forma di "Torre" che hanno davanti agli occhi sono state fortificazioni.  Sono indotti all'errore dal fatto che non vedono più le "pale" che, di  legno e di tela, sono evidentemente andate distrutte.  E, per contro,  non riflettono che quelle strutture non potevano essere fortificazioni,  dal momento che mancano gli spalti difensivi, di feritoie di merlature.  Le torri dei mulini a vento si caratterizzano però con le scale esterne.  Due strutture  cilindriche ancora esistono all'esterno del Castello di Portovenere. Ed infatti la gente continua a chiamarli "i mulini".
Che si sappia, di uno soltanto di detti "Torretti" si ha una certa e diffusa conoscenza, forse dovuto al fatto che esso si trova in vista, subito alle spalle della Chiesa parrocchiale di  Campiglia, sul sentiero che porta ad una splendida pineta, molto frequentata ancora oggi, perché si affaccia su un meraviglioso panorama marittimo, che a destra è delimitato da punta Mesco e a sinistra, sempre di chi guarda, dal promontorio di Punta Bianca su cui sorge l'abitato di Montemarcello.
Il "Torretto" di Campiglia è lasciato però in un deplorevole abbandono.  Si deve soltanto alla solidità della struttura, in pietra arenaria, se finora ha potuto resistere alla furia distruggitrice del tempo.
Ma ormai esso è talmente "scalcinato" che viene subito fatto di pensare, nel guardarlo, che è quasi un miracolo se, fino ad ora,  sia crollata soltanto la copertura del tetto, le cui assi di legno portanti sono marcite, facendo cadere le lastre di ardesia che lo costituivano.
Ha resistito e resiste, perfetta nel suo andamento elicoidale, la scala esterna, costruita per raggiungere l'argano con il quale ruotavano le pale mosse dal vento.
Il mulino a CampigliaI francesi della Provenza hanno dimostrato di avere maggiore sensibilità e capacità di conservazione per i loro mulini, che però erano più numerosi, attesa la natura pianeggiante della "Camargue".
Chiunque si rechi nella zona di Aix-le-Bains non può non restare ammirato nel vedere ancora -ma ricostruiti e fatti oggetto di paziente manutenzione - vecchi mulini a vento. Più famoso di tutti il mulino di Messieur  Séguin: quello della famosa capretta della novella che fa parte anch'essa, appunto, delle  "Lettres de mon moulin" , di Alfonse Daudet. Chi,  guardando il mulino ricostruito, non si sente mosso ed attratto da stupefazione e non è portato a provare sacrosanta invidia per la sensibilità dei francesi ?.
Ci si può meravigliare, poi se quelle zone, anche per la "ricostruzione" e la manutenzione dei mulini a vento, risultano più care all'uomo sensibile e perciò sono mete ambite di intelligente turismo, mediterraneo,  moderno nella base culturale e perciò teso alla ricerca di opere che si impongono subito alla vista ?
Chi può dubitare che, se il mulino a vento di Campiglia fosse restaurato e rimesso in moto, esso finirebbe per caratterizzare quel poggio che si affaccia sull'approdo dell' "Albana" , restituendo ad esso una identità che attrarrebbe visitatori e turisti, facendo così, con il concorso di questa ricostruzione di un antico strumento di produzione, che caratterizzava le costumanze e gli usi di un tempo, scoprire uno dei più splendidi balconi,  dal quale si può ammirare la costa di Tramonti sino alla punta di Portovenere e alla Palmaria ?
Vicino alla Chiesa parrocchiale di Campiglia il Club Alpino Italiano (CAI)  ha provveduto ad esporre un chiarissimo cartello che indica l' "Alta Via dei Monti" , che, dopo 2 km conduce a Portovenere, appunto.
Grande merito quello di aver "tracciato" in un prezioso itinerario questa "alta via", ed anche che il Comune della Spezia abbia realizzato la " palestra nel verde " , alla sella del Telegrafo, sopra a Biassa.
Ma che non possa esserci qualcuno che si proponga di restaurare il "Mulino a vento" di Campiglia, così realizzando una testimonianza del modo in cui un tempo- quando non c'era altra forza motrice, (come poi fu con l'elettricità, con il vapore, con i carburanti ed infine con l'atomo) - non si poteva sfruttare che la forza idraulica e quella eolica, cioè il vento ?
Anche facendo torto alla epica ironia con cui Cervantes cantò la follia di Don "Chisciotte", che si scagliò contro il miracolo meccanico del mulino a vento come se fosse un nemico da battere, ancora oggi quando si suole prendere in giro qualcuno  gli si dice che continua a combattere contro i mulini a vento e, senza accorgersene, non si condanna la follia, ma si alimenta l'ignoranza di quanti non riflettono che, dopo lo sfruttamento della forza animale (bestie o schiavi che fossero) nei mulini di Pompei, l'uomo scoprì il ricorso alla tecnica utilizzando appunto l'acqua o il vento per muovere le macine dei mulini. Con queste battute non si sa quanto male si fa: si induce l'uomo a dimenticare che "in natura nulla si crea e nulla si distrugge". Quando non c'era altra forza motrice che quella umana od animale in genere l'uomo si  affidò alla forza idrica o quella del vento (e con questo della vela, in mare e delle pale dei mulini sulla terraferma), avendo già scoperto la capacità di moltiplicare la forza con la ruota.
Oggi farebbe uguale brutta figura chi, nel tempo in cui dominano i calcolatori elettronici, si facesse sorprendere a farsi gioco della "tavola pitagorica" o delle cosiddette  "proprietà delle quattro operazioni" ; esse pure, una volta, facevano parte dell'insegnamento fondamentale dell'aritmetica, nelle prime classi dopo le elementari.
Chi lo facesse non deve poi meravigliarsi se viene preso per un  analfabeta, ignorante e maleducato.
Tutta la storia dell'umanità, nella sua interezza, deve essere conosciuta, dalle oscure origini ai voli interplanetari. Altrimenti la tecnica stessa risulta frutto di qualche "miracolo", anziché un continuo impegno dell'intelligenza umana a carpire dalla natura le leggi secondo le quali essa si governa da sempre. Conoscere che cosa fossero i mulini a vento, ricostruendo e facendo funzionare quello di essi che funzionava dalla balza ventosa di Campiglia, significa far conoscere le radici delle costumanze e delle tappe della vita storica degli spezzini, affinché quelli viventi e quelli che verranno siano spinti a conservare, con la memoria di quello che erano, la volontà di continuare ad essere più progrediti nel futuro, secondo quello che la necessità e le esperienze di popoli consentiranno, favorendo gli uomini nel carpire alla natura, con le cosiddette "invenzioni" (che invece sono soltanto autentiche scoperte) tutti i suoi meravigliosi segreti e le leggi che da sempre li regolano.
Chi porrà mano-questo è l'augurio e l'incitamento che chiunque  deve sentire di formulare alla ricostruzione del "Mulino a Vento" di Campiglia?
Chi, insieme con i compatrioti, si farà carico di ricercare come esso funzionava? Chi vorrà assumersi l'impegno-davanti ad uno stesso proposito-di conoscere come, davanti ad uno stesso proposito, si sono mossi i francesi?.
Perché non si sollecitano i molti figli di Biassa che vivono proprio in Provenza, presso Marsiglia, a La Ciotat, a farsi animatori di un disegno che si riproponga di ricostruire il "Torretto" del mulino a vento di Campiglia, nell'incomparabile bellezza della loro indimenticata e sempre amata terra di Tramonti ?
Ricostruirlo significa far conoscere le costumanze e le tappe della vita vissuta dagli spezzini.
La memoria di quello che essi facevano spinge la volontà dei contemporanei ad essere diversi nel presente e nel futuro, secondo quello che la necessità di progredire richiederà, come documenta la storia del passato.

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Ultimo aggiornamento: 25-09-05