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Mostra fotografica su Tramonti
dalla Piazza di Campiglia al tramonto: Vista della
catena delle Alpi sino al Monviso (sulla dx)
Foto a cura di Canese Davide, anno 2012
Nell'anno 1993 si è tenuta a La Spezia una mostra fotografica dedicata al territorio di Tramonti. I professionisti partecipanti hanno presentato i loro elaborati che, tradotti in immagini, dovevano avere Tramonti come soggetto principale. Quadri rappresentativi cioè di realtà ambientali, sociali, economiche e di vita quotidiana proprie dell'area di Tramonti. Dette immagini hanno sicuramente tracciato nella vista e nella mente dei vari visitatori, realtà ambientali, socio-economiche e di vita quotidiana di Tramonti, mettendo in risalto problemi e tematiche che esistono, insorgono, aspettano soluzioni da molti anni, in questa
particolare area geografica. Tale esposizione si è tenuta presso il Centro Allende: molti visitatori hanno potuto ammirare non soltanto foto, ma anche alcuni video con immagini di Tramonti. Nel mese di Febbraio, sempre del medesimo anno, a conclusione della mostra in oggetto,
alla presenza di un folto pubblico ed alcuni ospiti invitati per l'occasione, si
è tenuto un dibattito sul tema :
" L'immagine nel destino di un territorio".
Sono qui sotto riportati gli
interventi dei vari ospiti:
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SALUTO DEL SINDACO DELLA SPEZIA
Sen. Flavio
Bertone
Sono molto
contento perché sono qui, oggi, come Sindaco, ma nel 1985 ero
Vicesindaco e Assessore all'urbanistica, e ci fu un'iniziativa nella
sede sociale della circoscrizione a Fabiano, grazie all'impegno dei
cittadini di Tramonti, dei lavoratori di Tramonti e dell'Amministrazione
comunale, che le dedicò grande attenzione .
C'era anche
un caro amico presente in quella sede nel 1985 che voglio ricordare, è
ancora vivo, ma lo voglio ricordare perché non è qui, è Dario
Cappellini, e voi sapete quanto impegno ha messo per valorizzare le
Cinque Terre.
Egli sentì
che bisognava cominciare, quando si parlava di Cinque Terre, da Tramonti
, pur essendo fuori dalle Cinque Terre, per far diventare la discussione
un momento importante.
Anche quel
giorno il tema era come salvare, come far conoscere, come valorizzare
Tramonti. Anche perché il sentire complessivo allora, in questa città,
era che Tramonti fosse solamente la zona degli abusi edilizi. Questo era
il clima .
Tanto che
mi trovai con delle fotografie che segnalavano gli abusi edilizi, non
dei grattacieli, ma tutti gli abusi edilizi immaginabili su Tramonti con
una pioggia di denunce, di lettere che mi chiedevano di "togliere
tutto". Noi reagimmo (dico noi nel senso che in molti ci impegnammo in
questa cosa) a questa impostazione, che cioè per salvare Tramonti fosse
necessario togliere tutto ciò che c'era.
C'era
persino chi teorizzava che probabilmente era meglio che crollasse tutto,
e al posto dell'attuale Tramonti, nel tempo, venisse fuori la macchia
mediterranea.
Abbiamo
reagito nella convinzione che il paesaggio di Tramonti è un paesaggio
forse unico, così difficile anche da fotografare, diverso dalle Cinque
Terre, pur avendo con esso molte analogie, e che il punto centrale era
quello che se volevamo salvare quel paesaggio e quell'ambiente nel suo
complesso, quella cultura - credo non sia esagerato dirlo - dovevamo
fare in modo che, pur senza intaccare urbanisticamente il paesaggio, si
venisse a creare - o fossero lasciate - le condizioni perché la gente
continuasse a vivere a Tramonti.
Da qui
l'impegno non per demolire ma per sanare quella situazione: quelle
baracche un po' trasformate per poterci vivere dentro, un po' meno tane,
perché spesso tali erano.
Ci siamo
impegnati su questo terreno e ormai questa situazione l'abbiamo sanata
complessivamente. Io sono convinto che abbiamo fatto bene.
C'è un
passo del progetto che dice: "Tramonti ha bisogno dell'intervento umano,
lasciato al suo naturale sviluppo questo territorio ritornerebbe ad
essere un bel bosco, ma sicuramente sarebbe cancellato dalla faccia
della terra quel meraviglioso ambiente …"
Questo
credo che sia il vero problema che avevamo e che abbiamo davanti.
Tramonti ha
bisogno, per vivere, per mantenersi, per rimanere la bella cosa che è,
che la gente possa continuare ad abitarci, a lavorare come ha fatto fino
ad adesso. Lo sforzo compiuto in questa direzione credo sia da
considerarsi valido, chi pensa che sia meglio il ritorno alla macchia
mediterranea è libero di pensarlo, ma se ciò accadesse trasformerebbe
Tramonti in una cosa uguale a molti altri posti del nostro paese, delle
coste d'Italia.
Da questo
punto di vista l'Amministrazione si è impegnata, è stata stimolata dai
cittadini: si sa che quelli di Tramonti non scherzano, quando c'è da
farsi sentire.
Io credo
che dal 1985 ad oggi non si sia perduto del tempo. Qualcuno diceva
prima: "consideriamo quella di oggi una tappa per andare avanti", ma
quella di oggi è una tappa importante perché è il risultato di tempo, di
mesi e mesi di lavoro, per chi ha organizzato la mostra e più in
generale per quanti da anni si interessano al problema.
I promotori
della mostra, che io ringrazio, sanno quanto l'Amministrazione Comunale
li abbia sostenuti, quanto il sottoscritto li abbia sostenuti, perché
abbiamo ritenuto, ho ritenuto, che quella di oggi è una tappa importante
del lavoro che è cominciato anni fa.
Oggi mi
sembra che abbiamo dato una ulteriore risposta.
Oggi
abbiamo portato Tramonti in città per far conoscere ai cittadini; perché
andare a Tramonti per conoscere Tramonti è dura.
C'è qui
l'amico Gennaro Rossi che è un amante di Tramonti, ma quando ci siamo
andati quest'estate mi ha detto: "Questa è l'ultima volta che ci vengo,
se no io muoio a salire di lì".
E' un
paesaggio bello ma difficile da vivere, da frequentare; averlo portato
qui in città, farlo conoscere mi sembra che sia meritorio da parte di
tutti coloro che l'hanno fatto e che ancora una volta io ringrazio.
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Prof. Maria Giovanna Figoli
Docente di
progettazione architettonica
Vengo da Genova però vorrei chiarire che sono "cinqueterrina" e che mi
sento molto presa dall'argomento, anche se, per ovvii motivi, la
discussione di oggi è incentrata sul territorio di Tramonti.
Hanno parlato gli scienziati, che sono delle persone oggettive : adesso
parla un rappresentante della massima soggettività: un architetto.
Un architetto è sempre una persona di parte, questo voglio dirlo perché
così le critiche possono essere più ampie, più giuste, sicuramente più
giustificate.
Giudicare dal punto di vista architettonico Tramonti significa, dopo
tutti gli aspetti naturalistici che possono essere stati esaminati,
dargli un senso storico - culturale.
Il territorio generalmente inteso è tale soltanto quando l'uomo è
entrato in contatto con esso, vi ha messo mano e lo ha trasformato
comunque, sia pure minimamente. Il territorio vergine non esiste,
insomma, è significativo soltanto quando l'uomo ha posto il suo piede,
la mano su quel territorio ed ha compiuto un atto architettonico. Nella
migliore delle ipotesi la trasformazione storica di un territorio è tale
se è sicuramente in equilibrio con quel particolare territorio, se è
compatibile, cioè se è pertinente, attenta conseguenza della esaminata
soggettività di quel territorio.
Si è parlato oggi di una certa continuità fisica con l'organismo delle
Cinque Terre.
Abbiamo constatato che il territorio muta fisicamente, ma da quanto
abbiamo visto prima nelle diapositive, muta dal punto di vista
culturale. E' vero che si coltiva la vigna, ma la si coltiva in modo
diverso rispetto alle Cinque Terre; è vero che ci sono i terrazzamenti,
ma sono costruiti con pietre fatte diversamente da quelle delle Cinque
Terre; è vero che le aggregazioni edilizie ad uso abitativo si attestano
sui crinali, in territorio scosceso, ma sono completamente diverse da
quelle delle Cinque Terre: ci sono i tetti rossi, nelle Cinque Terre
abbiamo l'ardesia. Concludendo è un mondo culturalmente diverso. Ed è
giusto che sia così, dobbiamo tenerne conto.
E allora (perché poi la conclusione è quella) come deve agire un
architetto?
Che cosa decidiamo per questi territori ? Se l'architetto è figura
chiave (non è presunzione al contrario è senso di grossa responsabilità,
che noi architetti spesso dimentichiamo) deve tradurre in fatti
costruttivi e operativi l'istanza culturale che è dentro ciascuno di
noi.
Deve poter agire dopo aver esaminato attentamente quel territorio,
utilizzando gli strumenti normativi, o per lo meno cercare di far si che
quegli strumenti normativi che l'autorità politica e noi tutti, in
quanto consesso civile, ci siamo dati, siano pertinenti a quel luogo. Io
credo che non sia sempre così, e bisogna operare perché sia così; ecco
che allora l'aspetto scientifico e quello culturale devono sposarsi con
l'azione politica: essere la sintesi critico-costruttiva di questi mondi
che si uniscono per dare una giusta risposta.
Allora è necessario tenere conto dei limiti di questo territorio, delle
sue possibilità, e verificare se effettivamente e oggettivamente è
possibile una risposta conseguente. Io credo che l'aspetto della
conservazione fine a se stessa non abbia futuro, perché per la verità
non ha neanche un passato. Quello che noi pensiamo essere un patrimonio
conservato è un patrimonio strettamente connesso con l'economia di quel
luogo e con la vita di chi ci stava, strettamente a quei bisogni. I
bisogni sono mutati, però è anche vero che non possiamo buttar via una
testimonianza culturale. Non so se si tratta di opera monumentale,
certamente si tratta di un processo evolutivo protratto nei secoli, per
tutto il territorio delle Cinque Terre e in regioni italiane.
Si è trattato di un gigantesco e programmato recupero territoriale,
realizzato mediante un massiccio "assalto" al territorio naturalistico,
che è diventato significativo perché l'uomo l'ha costruito.
E' sicuramente una gigantesca opera architettonica. Chiamiamolo pure
monumento perché lo è.
Allora dobbiamo avere nei suoi confronti l'atteggiamento di chi si
rapporti con un monumento. Ma d'altra parte non possiamo trasformarlo
in opera da museo perché di sé non ha nessuna autonomia, nessuna autoalimentazione. Bisogna dargli significati, prospettive, possibilità
che siano compatibili con questa stessa parte di territorio .
Da qui nasce la questione difficile: la questione delle "scelte". Le
scelte appartengono a chi deve decidere. Solitamente non sono gli
studiosi che decidono, non sono i ricercatori, ma sono coloro che, in
quel momento governano il territorio. In considerazione di ciò occorre
fare un salto di qualità, una inversione di tendenza, perché le
normative, le leggi, l'urbanistica cioè, come l'abbiamo configurata e
usata fino ad oggi, credo non sia sufficiente a garantire la gestione
del territorio in senso nuovo, come qualcuno di noi può sperare debba
avvenire. Allora occorre partire non dico da lontano, ma dalla
competenza che ciascuno di noi deve usare autorevolmente al meglio.
Iniziamo dalle scuole di architettura, dalle facoltà; per esse occorre
un indirizzo, un insegnamento diverso nei confronti delle problematiche
territoriali: non crediate che i laureati che escono dalle facoltà di
architettura siano in grado di comprendere questi problemi, perché molti
tra gli stessi docenti non sono affatto in grado di comprendere questi
problemi.
Credo di poter affermare questa cosa perché sono un architetto e perché
molto spesso l'architetto è la quintessenza della presunzione; crede di
avere sempre la soluzione in tasca, per lo più individualista. Io sento
addosso questa responsabilità, ma anche questo neo che altri hanno avuto
prima e che altri avranno ancora dopo e che molti di noi continuano ad
avere, pensando di essere nel giusto. Occorre ridimensionare il libero
arbitrio dell'architetto, il suo potere di fare quello che vuole, dove
vuole, come vuole. Occorre cambiare strada. Ma è anche vero che i
politici, ed in questo caso gli amministratori, devono essere più
coscienti del patrimonio che stanno gestendo; devono conoscerlo di più,
devono essere in grado di controllare l'operato dell'architetto.
Delegando, dando agli altri responsabilità di scelta non si è più in
grado di governare.
Occorre in politica, e soprattutto nella politica del territorio
cambiare atteggiamento. Occorre che, al di là del disegno generale teso
al riconoscimento dei valori di Tramonti, siano usati strumenti che si
calino su di esso e che siano pertinenti ad esso, che è diverso dal
territorio che sta oltre lo spartiacque, sia pure nel Comune della
Spezia.
E' necessario tener conto delle configurazioni, degli atteggiamenti e
dei risultati territoriali e paesaggistici completamente diversi. E non
servono tanti strumenti urbanistici, ma è bene che essi non ignorino le
differenti finalità che hanno al loro interno in modo reciproco.
Non si può riuscire a conservare tutto di questo territorio evitando la
trasformazione.
Dobbiamo tener conto che alcune cose potranno essere ancora utilizzate e
finalizzate alla rivitalizzazione per non perderlo. I processi
trasformativi fanno parte del paesaggio e non sempre significano
distruzione, ma è indispensabile che essi siano equilibrati, che tengano
conto del limite. Abbandonare il sito vuol dire non avere la possibilità
della conservazione. Ma io credo che occorra fare un passo in più per
consentire che noi, cittadini in generale, abitanti di Tramonti, di
Campiglia, ma non soltanto si possa permanere con le condizioni
indispensabili per poter stare su questo territorio. E allora occorrerà
anche ragionare su quali e di che tipo potranno essere le vie di
comunicazione.
Quelle che anticamente venivano utilizzate, che in parte sono state
abbandonate ? Se sarà così dovranno essere rimesse in funzione, per far
sì che questo territorio non rimanga un'isola, che abbia possibilità di
conservarsi e di trasformarsi omogeneamente alle sue caratteristiche.
Fare certamente qualche concessione, qualche passo in avanti per le
necessità della gente. Ma non confondiamo il territorio di Tramonti con
la Sardegna e con la Campania o con la Toscana. Sono culture diverse. Si
deve intervenire su questo territorio tenendo conto delle sue
caratteristiche, delle tipologie che all'interno si sono sviluppate ma
che si sono anche arenate, congelate. Il processo trasformativo deve
avvenire all'interno di un limite oltre il quale probabilmente è
difficile andare, ma anche al di sotto del quale probabilmente è
difficile rimanere.
Io credo che questo in parte lo abbiamo potuto avvertire, riconoscere,
nella mostra fotografica. Ma è anche vero che questa terra è
caratterizzata soprattutto da opere murarie e da tracciati viari che
utilizzano gli stessi materiali, e da pochi e limitati insediamenti di
carattere abitativo, diversamente da altra parte del territorio
litoraneo.
Da
questo punto di vista una linea di sviluppo (che non vuol dire
naturalmente espansione, ma uso del territorio pertinente alla sua
caratterizzazione) credo sia possibile; ritengo che sia necessario far
sì che non venga generalizzato nell'insieme di tutto il territorio
ligure, che abbia le sue finalità precise in uno strumento che non sia
solo di piano regolatore normalmente inteso. Un'intesa sinergica che
traduca al meglio il motivo che ci vede qui riuniti con culture diverse
ma tesi a trovare la risoluzione per Tramonti.
Potrebbe avere ancora una parziale attività agricola o meglio di
specializzazione agricola, che può certamente tenere conto dei vigneti
che sono presenti, può altresì trovare una risoluzione dal punto di
vista turistico, di turismo intelligente.
Può trovare altre soluzioni, però ognuna di esse dovrà essere
compatibile con la possibilità di sviluppo certamente economico, non
solo nella conservazione, ma anche nella riqualificazione del territorio
nel suo complesso.
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PER UNA LETTURA TERRITORIALE DI TRAMONTI
Pier Gavino Capece & Fabio Chiesa
( Architetti)
Siamo stati chiamati come architetti a pronunciare un nostro giudizio ed
una nostra "proposta" sul territorio di Tramonti.
Più che di concreta proposta si tratta di suggerire alcuni spunti
problematici sul concetto di territorio e sul valore operativo. A dire
la verità questo non ci fa sentire tanto a nostro agio, perché noi
sappiamo di appartenere ad una categoria culturale, quella degli
architetti e della progettazione in generale, che in realtà poco ha a
che fare con la struttura ed il mondo di Tramonti. Questa contraddizione
si verifica proprio perché Tramonti è stata fatta così com'è (e così
bene) nel tempo in cui non esistevano négli architetti né
l'architettura come istituzione. Ossia la gente del luogo ha conformato
la terra spontaneamente, in presa diretta con la realtà, senza nessuna
operazione di progetto e di mediazione (oggi per costruire un muro è
necessario l'intervento di un progettista che generalmente non ha nulla
a che fare con il luogo). Per superare questo contrasto occorre che la
cultura dei progettisti abbia la capacità di riappropriarsi di quell'atteggiamento
che abbiamo definito "spontaneo", ossia sia in grado di colmare il
distacco che esiste attualmente tra la cultura tecnica e l'operatività
spontanea.
Di conseguenza a quanto è stato premesso, noi ci siamo posti il problema
della convivenza con il passato come problema principale
dell'architettura oggi e della cultura in generale.
Il fatto di porcelo, questo problema, è proprio una prerogativa di oggi,
un tema moderno, forse il più moderno di tutti, più moderno delle
invenzioni formali dell'architettura moderna. La sua novità sta nel
fatto che porsi un quesito di questa specie significa voler definire un
luogo nella sua totalità, ossia cercarne le sue valenze ambientali.
Noi intendiamo l'ambiente come sedimentazione di fatti, edificazione e
lineamenti del paesaggio che il passato, tutti gli uomini del passato,
vi hanno lasciato (il nuovo come lettura critica del passato).
Il problema dell'architettura oggi si pone quindi alla scala
territoriale, abbandonando le tradizionali scale dell'edilizia e
dell'urbanistica vigenti nell'attuale cultura tecnico-giuridica. Il
territorio rappresenta quindi l'oggetto del quesito totale sull'ambiente
nella sua comprensione più vasta in senso culturale (non spaziale).
Proprio per questa sua intenzione totalizzante, il progetto e la visione
di un territorio sono sempre il progetto e la visione di un mondo.
Il riconoscimento di un ambito territoriale (organismo), che è il
riconoscimento del suo linguaggio, è la visione locale del mondo nella
sua utilizzazione spaziale (architettura) avvenuta nel tempo. Questo
atteggiamento totalizzante è ancora presente nell'oggi come "immagine
del mondo" e, di conseguenza, ci costringe a confrontarci con il
passato, ci pone, nei confronti del territorio, come agenti conservatori
o salvaguardanti. Essere dei conservatori di un territorio significa
"progettare la sua immagine", ossia porsi il problema del territorio
sotto il profilo estetico.
Anticamente non era così, in quanto gli uomini svolgevano la loro opera
senza porsi il problema dell'immagine generale del "tutto" ; operavano
passo dopo passo, pietra su pietra (le cose le sapevano fare perché
avevano a disposizione dei mezzi consonanti con l'ambiente).
Le cose dette fino ad ora servono per dare una spiegazione, una ragione
teoretica a questo nostro desiderio di buona convivenza con il passato e
di essere dei conservatori del nostro territorio storico. Crediamo che
tutto quello che è nato per Tramonti, l'Associazione, la mostra
fotografica e questo convegno, abbiano alla base un elemento logico di
fondo che si può spiegare in questo modo.
Passiamo ora alle azioni intraprese (mostra fotografica).
Il primo obiettivo è stato quello di "fotografare" la realtà, di
avvicinarsi asintoticamente ad essa. Riteniamo che la mostra sia stata
in grado di comunicare emozioni, impressioni sul mondo di Tramonti; ma
si tratta di un linguaggio emotivo, soggettivo anche quando sembra
rappresentare oggettivamente la realtà .
Il filtro dell'autocoscienza è tra l'obiettivo e la pellicola, ecco
quindi che il risultato non può essere significativo per l'operatività.
A differenza del disegno non esiste un dialogo tra l'artefice e la sua
opera.
Anche una volta che dalla camera oscura riemerge la fotografia (e la
parola dice, semplicemente, scrittura, linguaggio della luce), la
coscienza critica interpreta, analizza il risultato intuito al momento
del clic.
Il punto di partenza può essere la fotografia soltanto come agente
divulgativo o come documento, ma non appena si passa all'operatività il
"rilievo" deve essere affidato a considerazioni meno superficiali (nel
senso proprio del termine: la fotografia come superficie); non è
possibile indulgere in tentazioni estetizzanti che rischierebbero, in
questo caso, di portarci fuori strada.
La lettura del mondo di Tramonti deve essere avviata in maniera
razionale (senza partecipazione emotiva), quanto più possibile aderente
alla struttura dell'organismo territoriale, al suo sviluppo storico,
alla sua "oggettività" naturale, che è fatta di geologia, morfologia,
clima, etc. Esempio: le foto dei sentieri sono immagini piacevoli,
interessanti, ma lo stesso sentiero può essere guardato e letto come
percorso di crinale, senza partecipazione emotiva; ecco allora che
questo non è più un frammento "pittorico" ma partecipe del
funzionamento e della vita di un organismo territoriale.
In sintesi la nostra non vuole essere una critica della fotografia, ma
semplicemente una definizione dei propri limiti di utilizzo: pena
tramutare la realtà tutta a superficie, indagine psicologica.
La fotografia talvolta riesce a fornire una sintesi personalistica ma
illuminante per tutti, un pò come la poesia, ma non può porsi come
presupposto di una indagine sul territorio. La Liguria di Montale è
certamente sublime ma non ci aiuta a conoscere: ha un altissimo valore
esistenziale ma non operativo.
La poesia era presente, senza dubbio, nella vita della gente di Tramonti
molto più che nella nostra attuale, "l'opera che hanno compiuto non ha
nulla di intellettualistico ma presuppone una conoscenza profonda del
territorio e delle sue caratteristiche, conoscenza che noi abbiamo
dimenticato".
Il compito dell'architetto è quello di ri-conoscere, ricostruendo il
linguaggio ed azzerando le contaminazioni esterne che possono
condizionare il nostro modo di guardare il mondo e quindi di costruire;
se non si fa questo il rischio è l'imbarbarimento.
Bisogna anche sgomberare il campo dai luoghi comuni che credono il
progresso lineare ed infinito.
E' necessario ripensare al concetto stesso di progresso e di verità
scientifica.
Ossia, allo stesso modo in cui la scienza ha fondato un mondo oggettivo,
totale e convenzionale attraverso il linguaggio scientifico (Husserl),
così è possibile riconoscere il monolocale attraverso l'intenzione
operativa della sua strutturazione.
Questo significa, in parole povere che un territorio visto nella
totalità della sua formazione e strutturazione è portatore di verità e
di comunicazione alla stessa stregua del linguaggio scientifico. (Lo
stesso sforzo intellettuale ed economico che si ripone, giustamente
nella ricerca scientifica o tecnica, deve essere impiegato anche
nell'approfondimento e nello studio del territorio).
Oggi la formazione del territorio è ancora basata sulla scelta spontanea
dei materiali e delle tecniche che non sono più legate al luogo, ma
appartengono ad un mercato di prefabbricazione.
Pertanto ogni azione sarà sicuramente lesiva dell'ambiente. Quindi è
necessaria una capacità critica in grado di coordinare scelte e
materiali. Un esempio di questo fenomeno si riscontra
nell'osservazione dell'insediamento, ad esempio, di Schiara, dove sono
evidenti le ristrutturazioni e gli interventi, in genere attuati
spontaneamente con materiali prefabbricati (strutture in cemento armato,
ferro tubi, coperture in ondulato eternit,etc.)
Se una foto avesse ritratto questa realtà sarebbe risultata pittoresca,
ironica o curiosa, ma non avrebbe saputo guidare didatticamente le
scelte di cui si parlava, tutto questo al di là delle buone intenzioni e
delle capacità del fotografo.
Proviamo ora a capire in che modo noi possiamo essere conservatori di
Tramonti o, ingenerale, di un territorio.
Premettiamo che il territorio può essere considerato come base naturale
che si offre all'uomo come "materiale" della propria volontà,
intenzione operativa, ed il territorio "ce la mette tutta" a resistergli
a farsi piegare da questa volontà, e l'uomo "ce la mette tutta" per
cavarne una forma civile, un proprio ambiente.
In questo senso, come rapporto tra le due totalità organiche, la base
fisico-naturale e l'uomo inteso come volontà-intenzione, il territorio
allora può essere considerato come un opera d'arte. Vediamo ora di
delineare, partendo da queste considerazioni, alcune proposte. E'
evidente nella conformazione territoriale di Tramonti il suo carattere
di opera architettonica (opera d'arte), nel senso che è prevalente
l'edificato rispetto al terreno agrario (qualitativamente), in un tutto
che è tipicamente ligure ed al limite delle possibilità umane.
Questo limite, che è l'aspetto che ci è tanto caro paesaggisticamente,
rappresenta anche il nostro ostacolo maggiore: bisognerebbe essere così
poveri e così bravi da rimanere legati (o meglio costretti) alla terra,
per poter mantener in vita Tramonti.
Si ritiene quindi indispensabile un intervento di normativa speciale che
obblighi il mantenimento della proprietà, nel rispetto del linguaggio
locale e della superficie.
Per fare questo e' inevitabile l'utilizzo di materiali e strutture
tipiche del luogo.
La normativa dovrebbe avere più un carattere di critica del giudizio,
cioè dare un contributo maggiormente di educazione civile che non
burocratico (come la maggior parte delle normative urbanistiche
vigenti).
Inoltre si chiede anche una certa sensibilità ed educazione ambientale
dei progettisti, che a ben vedere sono anch'essi responsabili del
degrado ambientale delle nostre periferie urbane e delle periferie dei
centri storici.
Non riteniamo idonee le soluzioni proposte dal CNR per i muri di
sostegno delle fasce, sperimentate nella zona di Volastra, perché
massimamente disambientati, essendo costituiti da blocchi prefabbricati
di calcestruzzo.
Il mondo di Tramonti va associato storicamente agli insediamenti di
Campiglia e di Biassa, dei quali costituisce il tessuto poderale, ed è
sorretto dal percorso di crinale costiero che costituisce la matrice di
percorrenza dei suddetti centri e delle Cinque Terre in generale.
Pertanto il recupero di Tramonti deve coincidere con il recupero del
percorso di crinale (che arriva fino a Portovenere), rendendolo più
accessibile o magari perfino rotabile.
Il recupero del suddetto percorso pone, secondo noi, il problema della
città della Spezia e della convivenza con le strutture militari a scala
territoriale .
Questa sua situazione caratteristica è stata positiva nel passato, in
quanto la presenza delle strutture logistiche della Marina Militare ha
sicuramente protetto aree ad elevato contenuto paesaggistico;
attualmente però queste strutture dovrebbero coadiuvare e favorire
questa possibilità di recupero (ad esempio le gallerie dell'Acquasanta
possono forse essere utilizzate per un eventuale recupero della zona di
Tramonti, consentendo un collegamento diretto tra la città e la costa?)
Non dimentichiamo che la problematicità dell'oggetto considerato, il
territorio, discende dal fatto di essere "contenente" di tutto, anche di
noi stessi e della nostra stessa cultura che lo giudica.
Questa considerazione pone un limite al giudizio predicativo (cioè alle
parole) spostando il quadro della sua comprensione all'infinito.
Ecco quindi che per poter "manipolare" il territorio bisogna definirne i
limiti (dove finisce un certo linguaggio, un certo modo di costruire),
ossia definire l'organismo territoriale.
Questo potrebbe rappresentare il passo successivo per uno studio critico
approfondito sul mondo di Tramonti e per la sua progettazione: non
moderna ma nuova, non sognata ma concreta, originale perché capace di
comprendere l'origine.
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Dott. Giuliano Conte
Economista
Che cosa ci fa qui un economista ?
E' domanda che può essere sorta in molti, ma in realtà io credo che
questa eventuale domanda nasca da una concezione probabilmente ormai
vecchia del rapporto con le questioni ambientali; e cioè che ambiente
voglia dire in qualche senso sottrazione allo sviluppo, disinteresse
degli aspetti economici e occupazionali.
In realtà c'è una riflessione in atto nel pensiero economico che ha
effetti politici piuttosto importanti, e cioè quello di considerare
l'ambiente non più come un territorio da sottrarre all'uso delle
popolazioni locali, bensì di considerare l'ambiente come una risorsa che
può avere anche valenze economiche.
Ora il problema è definire quali sono gli ambienti in cui l'ambiente e
un particolare territorio caratterizzato da specifiche risorse
ambientali possa avere valenza economica.
E quando parlo di valenza economica voglio dire avere degli effetti in
termine di produzione lorda vendibile e di occupazione. Il territorio di
Tramonti, e più in generale le Cinque Terre, è inserito in un sistema di
aree protette regionali. Ora, questo sistema di aree protette regionali
dovrebbe aver già individuato una strategia di tutela ambientale, che
tenga conto però delle domande, legittime, della popolazione locale.
In realtà, purtroppo, il sistema delle aree protette non solo
all'interno della regione Liguria (io conosco particolarmente bene la
situazione in Toscana e un po' anche quella nazionale) è fatto di di un
segno sulla carta e di un insieme di vincoli puramente
restrittivi, col risultato che, poiché le popolazioni locali (non siamo
nello Yellowstone, non siamo in Nord America, non siamo in Alaska)
devono vivere, finisce che si fa tutto il contrario di quello che si
potrebbe fare: cioè una serie di azioni che mantengano alcuni assetti
produttivi. Parto da così lontano perché il sindaco mi ha sollecitato su
un aspetto che a me sembrava dirimente, e cioè che la conservazione di
un sistema territoriale è una conservazione del sistema
economico-produttivo che ha reso possibile quel tipo di insediamento e
quel tipo di territorio. Se non si riesce a mettere in piedi un modello
in qualche senso economico (ed ecco la mia presenza) che consenta la
perpetuazione di certe forme di produzione, sia il sistema insediativo,
sia il sistema territoriale si sfasciano.
E quindi il tema diventa: come fare per conservare questo insieme
territoriale, questi valori paesaggistici ? Per poter fare questo
bisogna riuscire ad inventarsi un qualche sistema per cui le popolazioni
locali, invece di diventare un elemento distruttivo rispetto ad un
territorio, ne diventino un elemento che conserva determinate strutture
di valore.
Cioè bisogna entrare nel merito del tentativo di coniugare il tema della
conservazione con lo sviluppo e più in generale il tema economico e
ambientale. Tanto più in sistemi che sono fortemente caratterizzati
dalla presenza umana, che non hanno niente a che fare col sistema degli
orsi, né con la visione fiabesca della montagna come luogo popolato
appunto dalle fate e dagli animali, ma sono invece territori altamente
antropizzati.
E cioè dove l'uomo ha creato la dimensione "paesaggio" a partire da
determinati metodi di produzione che hanno plasmato il territorio in
quella forma sia sotto il versante agricolo che degli insediamenti
umani. Vale a dire le case che ha progressivamente costruito con certi
materiali, l'ardesia invece che il cotto o viceversa, etc.
Ora io credo che esista una possibile risposta, fra l'altro
professionalmente io mi occupo proprio di questo, cioè di tentare di
costruire modelli di sviluppo economico a compatibilità ambientale,
tentando di dare risposte non generiche ma in termini di "dove"
sviluppo economico, "quali" settori, con "quali" riflessi in termini di
occupazione e "con quali" riflessi in termini di prodotto lordo
vendibile.
Il punto di partenza è probabilmente una riflessione su una legge che è
stata emanata di recente : con la nuova legge sui parchi fatta dal
Parlamento Italiano, la numero 394 del '91, "Legge quadro sulle aree
protette".
Per la prima volta si va al di là dei visioni strettamente ambientaliste
oltre la legislazione regionale, e si determina un quadro unitario
nazionale (non a caso questa è una legge nazionale), e cioè quello al
quale le leggi regionali si devono progressivamente uniformare.
Questa legge sancisce un passaggio che, secondo me, è particolarmente
significativo: e cioè appunto il passaggio da una visione strettamente
museale e naturalistica dei parchi a una visione, invece, dei parchi
come elemento in cui sperimentare forme di compatibilità fra la presenza
di determinate forme di produzione e l'ambiente naturale in cui queste
attività vanno a svolgersi.
C'è stato un dibattito in Toscana, ma anche a livello nazionale, nel
quale noi abbiamo chiamato questi parchi come "Parchi di seconda
generazione", proprio per distinguerli dal parco Yellowstone, a
carattere strettamente naturalistico, per porre l'accento non più sul
vincolo, e cioè il fatto che dove c'è il parco non si fa niente, ma
considerare invece il parco come una opportunità di recupero di attività
produttiva e di territorio che su questa attività si sviluppa in
contesti mutati da un punto di vista economico. Diventa importante
capire in che senso "opportunità " . Opportunità vuol dire che è mutato
qualche cosa per cui certe caratteristiche di naturalità, di genuinità,
di bellezza, mentre prima potevano essere appetibili da poeti o da pochi
infatuati di determinate cose, oggi invece cominciano ad essere segmenti
importanti di una domanda per la quale c'è un mercato e per la quale,
progressivamente, si va strutturando anche un'offerta. Sto pensando
all'esempio più eclatante: ora si è parlato di produzione vitivinicola;
bene, le caratterizzazioni in termini qualitativi di determinate
produzioni e dunque anche la creazione di strutture imprenditoriali
capaci di sostenere la penetrazione in determinati mercati di certe
forme produttive, diventano un fatto discriminante.
Ora io so bene che questo problema cozza ad esempio, per rimanere alla
questione agricola, con l'alto livello di frantumazione della proprietà
agricola, con l'estrema parcellizzazione della dimensione dell'impresa
contadina . Però esistono possibilità attraverso altre strutture, altre
forme, consortili ed altro. Incominciare ad impostare un ragionamento
per cui il parco, cioè un territorio dotato di particolari
caratteristiche qualitative, possa esprimersi, oggettivarsi nelle
qualità dei suoi prodotti. Costruire su questo una strategia che
consenta ai consumatori di capire che quando consumano i prodotti di
quel determinato territorio si tratta di prodotti che hanno delle
caratteristiche protette, organolettiche, di bontà di genuinità, e con
questa tipologia impostare un ragionamento che tenda a ricostruire una
dimensione economicamente significativa di un territorio. Ora questo
ragionamento presuppone una significatività economica di un territorio:
cioè Tramonti probabilmente è troppo piccolo per sostenere un
ragionamento di questo genere, ma non sarebbe così per un " Tramonti "
inserito in un sistema di Parco regionale delle Cinque Terre, importante
in termini di territorio e di quantità prodotta e in termini di
riorganizzazione dei sistemi produttivi, ad esempio indirizzati verso lo
sviluppo di qualità delle produzioni, e qualità significa oggi
determinate cose, perché esiste una legislazione nazionale sull'olio,
sul vino, sulla carne, sul latte, ecc.
Qual'è il paniere dei prodotti vendibili da questo territorio? Che cosa
può essere riattivato? Qual'é l'integrazione tra sistema consortile,
sistema di piccola e media impresa, forme di commercializzazione con
partecipazione pubblica e partecipazione privata? Insomma, il problema
tocca la radice della questione: ricostruire una dimensione economica
giocando sul fatto che il contesto della domanda di mercato è mutata,
per far sì che questa dimensione economica nuova, questa dimensione
produttiva, consenta il mantenimento di determinati valori
territoriali.
Secondo aspetto e secondo esempio è la questione turistica, intesa non
in senso banale, ma come sistema territoriale che attraverso il turismo
è in grado di offrire determinati beni e servizi. Concludo rapidamente
dicendo che questo tipo di approccio sta avendo in Italia esperienze
significative sia dal punto di vista qualitativo che dal punto di vista
quantitativo. Io stesso sono coordinatore di un progetto alle porte di
Firenze per un parco regionale di 150.000 ettari che coinvolge 14
comuni, in cui l'impostazione è esattamente quella che sto dicendo, cioè
tentare di costruire rapporti di compatibilità fra la presenza dell'uomo
e delle produzioni umane e il sistema ambientale, e utilizzare appunto
la legislazione nazionale dei parchi non come pura posizione di vincolo
su un territorio ma come opportunità per una riorganizzazione produttiva
delle attività economiche di un determinato sistema.
Avrei voluto parlare un po' anche del sistema insediativo, della
questione urbanistica, ma accenno solo ad aspetti portando un esempio:
noi in Toscana abbiamo una legge che rende molto complicata la
deruralizzazione. Questa legge ha preteso di congelare un assetto
produttivo , che era quello della mezzadria degli anni '50-'60,
pensando che in questo modo fosse possibile salvaguardare la funzione
agricola della casa colonica senza curarsi minimamente dell'aspetto
paesaggistico della casa colonica. Ecco io credo che si debba invertire
il rapporto; e cioè salvaguardare la funzione paesistica e quindi i
vincoli non sulle destinazioni d'uso ma sulle forme visive, materiali,
immagini, arredi vegetazionali ecc., restituendo invece al mercato e
cioè a funzioni moderne il bene dal punto di vista della sua
destinazione d'uso, proprio perché se non si vuole congelare un assetto
economico che prevedeva un'alta quantità di manodopera e dunque un
processo di grande urbanizzazione del territorio che oggi
tecnologicamente non è più proponobile, se vogliamo salvaguardare il
bene nella sua dimensione appunto estetico- paesaggistica, dobbiamo
trovare soluzioni che sul piano economico consentano al proprietario di
non sentirsi più vincolato alla dimensione di funzione rurale del bene,
ma di sentirsi vincolato alla dimensione estetico-paesaggistica, ma, e
di potere poi su questo esercitare delle attività, ad esempio turistica,
agrituristica ecc., senza tanti lacci, laccioli, laccelli come abbiamo
in Toscana e immagino abbiate anche voi in Liguria.
Quindi occorre oggi porsi l'obbiettivo di una risistematizzazione, alla
luce della legge, in un concetto più generale di ambiente, territorio
ed economia, che parta dall'idea dell'ambiente non più come vincolo ma
come risorsa e come opportunità. Ciò può essere una occasione sia sotto
il versante economico per la riorganizzazione delle produzioni che per
la riorganizzazione e tutela del territorio.
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Maurizio Maggiani
Scrittore
Sì, io dico quello
che mi pare perché non ho niente da dire. Non faccio nessun mestiere
utile ai problemi di Tramonti non ho nessuna capacità specifica, non
sono un tecnico, architetto. Mi hanno chiamato perché chi organizza
questa cosa mi conosce, è compagno mio e ha detto "ci vuole un po' di
gazzosa alla fine" , e io sono quello che vi deve fare la gazzosa. Vi
avviso di una cosa: io sono distante da Tramonti perché sono nato, e per
certi aspetti sono rimasto, un contadino della piana, e non c'è niente
di più distante da Tramonti di un contadino della piana, del suo modo di
camminare, di pensare, di guardare. Però a Tramonti ci vado spessissimo,
credo di andarci regolarmente una volta alla settimana da 10-15 anni,
forse di più, e ci vado a piedi.
Vado a piedi da casa mia, in questa città. E andandoci a piedi ho modo
di arrivarci per gradi; per gradi di comprensione delle cose, per gradi
di differenziazione del paesaggio, direbbero i tecnici. Passo da via
Fieschi, la città militare, la città dei muri, dei viali diritti; salgo
su da Pegazzano e cammino tra gli ulivi, le piane di ulivi molto dolci,
bagnate dalla luce forte di queste stagione; ma anche d'inverno c'è una
luce dolcissima sotto gli ulivi, ed è la luce che dà fuoco all'erba. E
poi salgo su per Biassa e ci sono i castagni, e salgo per quella che per
me è la più bella mulattiera che abbia mai visto in vita mia. Io credo
di aver girato a piedi per gran parte del mio tempo e per le strade,
quindi, pedonali: io credo che la mulattiera che da Biassa sale su e poi
riscende a Tramonti sia una delle cose in assoluto più belle e il cui
valore in soldi credo che non sia calcolabile; credo che nessuno
potrebbe più rifare quella mulattiera, mai più con la serena, col
porfido, mai più. E passo i castagni e dopo i castagni mi butto giù per
il costone e scendo a Tramonti.
Quando arrivo a Tramonti ho da sempre una percezione fortissima ed è
quella di essere veramente alla fine del mondo. C'è un vecchio cultore
di cose patrie spezzine che scrisse un saggetto, un libriccino: era
Ubaldo Formentini, sapete, e scrisse un libretto su Monesteroli o
Monasteroli, sostenendo una cosa probabilmente folle, ma questa cosa
folle è verissima per me nel paesaggio di Tramonti che di per sé, per lo
sguardo di un contadino, una cosa assolutamente fuori dal mondo. E
questa cosa un pò pazza di Formentini diceva: ecco, Monasteroli si
chiama così mica per il monastero, non c'entra niente, ma perché qui si
è fermato Menisteros, un eroe greco dal ritorno dalla guerra di Troia.
E questo eroe greco arriva qui e dice : ecco questo è l'oceano. E per
l'eroe greco l'oceano è la fine del mondo, è il fiume immenso che separa
il mondo dei vivi dall'ignoto e dagli spiriti del mondo dei morti. Ecco,
traguardare il mare dalle scalee - perché non è più, ad un certo punto,
mulattiera, ma il cammino diventa scalea, una scala immensa a volte -
traguardare il mare e le falesie - ché così si chiamano, l'ho sentito
prima - che vanno verso il Tino, si ha l'impressione di essere arrivati
all'orizzonte ultimo, a un punto estremo del mondo e dell'esperienza
delle cose.
Follia, follia le scalee, follia quest'immenso paesaggio di pietra
costruita.
Follia per un contadino che è abituato alle sue vigne, addirittura
abituato ai suoi pergoli dove ci si mangia sotto, nella valle di Magra,
dove d'estate ci si mettono le tovaglie e si mangia il pollo. La follia,
e insieme alla follia una percezione di una presenza umana che è
drammatica: l'idea che la gente che è stata lì è gente che ha messo su,
pietra su pietra, quest'immenso paesaggio da fine ultima del mondo, è
come gente, che ne so, condannata ad una pena terribile, condannata ad
un carcere perenne.
E viene in mente per l'appunto qualcosa di greco, di mitico, viene in
mente l'eroe che ha rubato il fuoco ed è stato condannato ad essere
incatenato ad una roccia .
Ecco l'idea che lì per cento, duecento generazioni che la gente sia
stata incatenata ad un destino fatto di vertigini, ad un destino fatto
di un lavoro che è bestiale. Si, io sono convinto, per quel poco che
capisco della vigna, per quel poco che capisco del lavoro, (io dico cose
inutili perché non sono buono a lavorare, non sono buono a fare i
muretti a secco, so vendemmiare il vermentino di Castelnuovo,
figuriamoci se sarei in grado vendemmiare il bosco di Tramonti), che in
certi punti ci si può andare solo con le corde, ci si deve legare. La
vertigine della fatica non è, per quel poco che io conosco la fatica, la
vertigine del turista che passa su un sentiero a picco sul mare, è la
vertigine del sudore, la vertigine dei pesi sul proprio corpo, che è un
peso fatto di panieri, di sassi.
Questa follia, la follia di quel lavoro, di questo paesaggio, è qualcosa
di non propriamente umano, è qualcosa che supera l'esperienza
dell'umanità moderna.
Ecco, Tramonti è qualcosa che non appartiene a quest'epoca; il lavoro
della gente di Tramonti, dell'essere a Tramonti, il così com'è non può
appartenere a quest'epoca. Non c'entra niente. Tant'é che piano piano
questa epoca se lo sta prendendo, con quello che si chiama il
ruscellamento, credo, comunque con le frane. Non è la natura che si
riprende se stessa, per lo meno è il meccanismo di un'epoca che dà di
nuovo, a una natura che precede tutti gli uomini, la possibilità di
riprendersi quello che forse le spetta, forse no. E allora mi viene in
mente una cosa: un'immensa rovina megalitica; uso forse una parola
complicata, Tramonti è un'immensa rovina megalitica. E' qualcosa che per
un estraneo come me, estraneo anche se ci vado da sempre, assomiglia
molto a una rovina Inca, a qualcosa che non può appartenere alla mia
esperienza, alla mia storia, pur essendo di qua. Questa rovina
megalitica ha ragione di esistere? C'e' un comitato che ha organizzato
"Per Tramonti"; ha senso pensare a salvare quest'immensa rovina? Nessuno
lo fa al mondo; quasi mai nessuno. I grandi templi Inca sono lasciati
in gran parte a sè stessi. Nessuno pensa di potersi frapporre tra
l'immensa giungla, con la sua forza spaventosa, e il tempio: tutti
pensano che sia una cosa pazza.
Ha senso? Io credo che abbia senso e vi dico qual'è. Proprio perché è
contro la storia, proprio perché contro quest'epoca ha senso salvarla;
non solo salvarla, ha senso viverci. Perché io odio quest'epoca. Quest'epoca
non è quella che io amo. Io non amo vivere qui, oggi. Io non amo vivere
nel mondo di Sarajevo distrutta. Pensate un po' se un giorno sparisce
Tramonti: che gliene frega a nessuno? E' sparita la classe operaia, io
non credo che ci siano stati più di tanti pianti, eppure la classe
operaia era grandissima, era, come dire, la colonna della nostra
repubblica; è sparita in 10 anni e nessuno ha battuto ciglio.
Sta
sparendo Sarajevo, non mi pare che ci sia un granché di affanno a vedere
che sparisce. Il giorno che sparisce Tramonti non gliene frega niente a
nessuno. Proprio per questo per me è importante che non sparisca mai.
Perché è una ribellione a quelle che sono le leggi che io penso non
invalicabili (perché sono stupido, sono un letterato e non sono un
economista) ma che sono ragionevolmente invalicabili, dell'economia e
comunque della politica. Tra l'altro c'è una cosa bellissima di questo
incontro: è che non ci siano politici. Cioè i tutori, quelli che
dovrebbero essere i tutori principi di Tramonti, gli eletti perché
anche Tramonti esista, non ci sono nelle prime file , ma ci sono degli
studiosi; chissà se è per ritegno o forse perché Tramonti proprio non
appartiene a quest'epoca e quindi non appartiene a quest'epoca, e io non
dò ovviamente un senso negativo alla politica, perché dovrei darglielo?
Faccio un esempio un po' osè: io ho simpatia - credo forse di essere
l'unico in tutta questa sala, spero di no perché non mi piacerebbe- per
i portuali genovesi. Se c'è una categoria che è stata pigliata a calci,
a schiaffi, denunciata, accusata violentemente da tutti, dalla sinistra
estrema alla destra estrema, sono i portuali. Perché ? Perché i portuali
combattono per un modo di produrre che non appartiene a quest'epoca e a
questa storia, perché sono medievali. Va bene: hanno vinto i portuali
(perché, checché se ne dica, alla fine hanno anche vinto, e io sono
felice che abbiano vinto); perché mai, dopo aver mortificato tutti,
mortificare anche loro, se possono non essere mortificati? Perché
mortificare Tramonti se alla fine può non essere mortificata? Per cui
per me va bene pagare 10.000 lire ciascun sasso di ciascun muro di
Tramonti, se saranno mai reperibili queste 10.000 lire, perché Tramonti
è un'offesa ad un'epoca che ignora, che disprezza tutto ciò che non è
funzionale ad arrivare alla sera sani e salvi, e basta. A un'epoca dove
chi fa politica pensa di essere l'ultimo a far politica, l'ultimo a
vivere in questo pianeta, in questa terra, in questa città, in questa
via, per esempio.
Tramonti è un sogno di fatica immensa dove nessuno, tra quelli che ci
hanno lavorato in 10 secoli, ha mai pensato, soltanto sospettato di non
avere un figlio o un nipote che avrebbe continuato a fare quel lavoro.
Tramonti senza un'idea di futuro, primordiale, volgare, se volete,
certamente non intellettuale, senza un'idea di futuro da parte di quegli
schiavi, legati, incatenati a quei sassi, non sarebbe mai esistita,
sarebbe stata addirittura antieconomica per questi che, da un punto di
vista economico, dal punto di vista comunque della cultura di quest'epoca
possiamo ritenere poco più che bestie.
Ecco: Tramonti è stata costruita avendo un germe di futuro, e quindi un
germe di speranza da parte di gente massacrata di fatica.
Quest'epoca è un'epoca che non ha l'idea di un suo futuro, l'idea di una
sua speranza. E' uno schiaffo all'andazzo dei tempi correnti. Io che
sono un reazionario combatto l'andazzo dei tempi correnti e mi rifugerei
anche in quel barlume di speranza che nasce da queste rovine
megalitiche e dal lavoro immenso di questi schiavi. Non vorrei dire
altro, perché francamente per "gazzosa" è più che sufficiente.
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