Tramonti, quale futuro

10-06-12

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TRAMONTI, quale futuro ?

Dott. Fabio Giacomazzi

Biologo

Le profonde modificazioni economiche e sociali intervenute in questo secolo nella maggior parte dei paesi industrializzati hanno portato, tra l'altro, a quel fenomeno che viene indicato come  "abbandono della terra" (land abandonment,  nel linguaggio scientifico internazionale).
Vaste porzioni di territorio, coltivate a fondo sino a pochi anni fa ed alle quali veniva riconosciuto un alto valore economico, hanno cambiato destinazione d'uso, oppure sono state lasciate al recupero della vegetazione spontanea. L'analisi di questo fenomeno ha portato gli studiosi del territorio, ma non solo questi, a porsi il problema di come valuta re il ritorno alla naturalità ed in che modo eventualmente "governarlo".
Spesso sulla base di una pseudo cultura ecologista si è valutato in maniera eccessivamente positiva il recupero della vegetazione naturale, la quale andava a cancellare l'intervento umano, facilitando così il ritorno di specie vegetali ed animali selvatiche. Ciò in effetti  può essere vero per quanto riguarda certe aree montane, come il nostro Appennino, dove il taglio sistematico del bosco, applicato dal fondovalle sino alle più alte vette, aveva condotto, specialmente nel dopoguerra, ad un profondo dissesto idrogeologico, che è stato in parte attenuato dall'attuale recupero della vegetazione.
In effetti ci si è resi conto che nella maggior parte dei casi, invece, l'abbandono delle zone agricole in aree di antica antropizzazione, come ad esempio nel bacino del Mediterraneo, innescava processi di dissesto del territorio e significava la perdita per sempre di aree produttive. Per questi ed altri motivi si ritiene dunque indispensabile una presenza dell'uomo sul territorio, in grado di valutare, controllare e nel caso governare il cambiamento.
Ma per fare ciò occorrono tre cose: la conoscenza delle componenti e dei fattori naturali ed antropici che vanno a determinare il paesaggio attuale, la conoscenza dei meccanismi connessi alle dinamiche di cambiamento connesse al suo cambiamento, e, sulla base di queste acquisizioni, una chiara presa di posizione a livello pianificatorio sul valore e sulla funzione che riconosciamo al territorio in questione .
Quando ci poniamo la domanda "Quale futuro per il territorio di  Tramonti"  sappiamo di dover passare attraverso queste fasi cognitive e decisionali.
Il territorio di Tramonti, dal punto di vista amministrativo, ricade quasi completamente nel Comune della Spezia , nell'unica porzione che si affaccia  sulla riviera al di là del crinale del Golfo, stretto tra le terre appartenenti ai comuni di Portovenere e Riomaggiore. Dal punto di vista geologico corrisponde al primo tratto di arenaria macigno dopo i calcari di Portovenere.
Ciò determina una diversificazione nella morfologia: si passa dalle falesie  a picco sul mare ad un declivio ripidissimo ma comunque percorribile.

Il crinale, alto e vicinissimo al mare, protegge dai venti di Tramontana ed espone il versante verso sud-ovest. Il clima è quindi nettamente mediterraneo, ben distinto da quello che si determina all'interno del Golfo della Spezia. In conseguenza di ciò la vegetazione spontanea che un tempo ricopriva quasi interamente il versante era costituita probabilmente dalla lecceta, accompagnata ai margini dalle essenze che attualmente formano la macchia mediterranea (lentisco, alterno, corbezzolo, cisto, ecc….).
Su queste caratteristiche naturali (che ho molto succintamente delineato) si sono imposte delle modificazioni antropiche la cui natura è stata determinata dalle condizioni ambientali  (adattamento).
Probabilmente a partire dal XI secolo d.C.  le popolazioni dell'entroterra hanno cominciato ad utilizzare il territorio modificando la morfologia naturale (caratterizzata  da una acclività eccessiva per qualsiasi pratica colturale) attraverso la tecnica del terrazzamento. Questa tecnica prevedeva il taglio del bosco, l'eliminazione degli apparati radicali, il dissodamento del terreno, la costruzione dei muretti a secco ed il trasporto del materiale che andava a costituire il terreno fertile. Questo gigantesco sforzo costruttivo era ripagato dal fatto che,  grazie alle caratteristiche climatiche, si rendeva possibile attuare la coltura specializzata della vite e dell'olivo in maniera molto più estensiva e proficua che nel versante interno dei territori di Biassa e Campiglia.
Si è così costituito un cosiddetto "Paesaggio costiero agrario terrazzato" (R. Terranova 1989)
che, più che quello odierno è ciò che ci doveva apparire il territorio di Tramonti nel secolo scorso o al più tardi prima della seconda guerra mondiale .
Questo paesaggio "artificiale" era mantenuto in equilibrio, e quindi efficiente, dal continuo apporto di energia sotto forma di lavoro umano, soprattutto per quanto attiene la manutenzione dei muri a secco.
Quando questo apporto di energia è venuto a mancare in conseguenza dell'abbandono, si è instaurato un processo dinamico tendente a riportare il sistema verso le condizioni naturali originarie: crollo dei muri a secco, movimenti franosi, invasione dei terrazzi da parte della vegetazione spontanea  (pineta, macchia ad erica, macchia mediterranea e macchia ad euforbia erborea).
In un ambiente come quello di Tramonti, caratterizzato da una forte acclività (e quindi da un attivo dinamismo morfogenetico) e da condizioni climatiche particolari (quelle tipiche del clima mediterraneo: mitezza invernale accompagnata da una fase arida estiva) è facile l'allontanamento dall'equilibrio in seguito a stress (sia di origine naturale che antropica) ma anche il suo recupero (cattiva stabilità di resistenza, buona stabilità di resistenza).
Si può quindi ipotizzare un recupero della naturalità abbastanza veloce, a meno che non avvengano ulteriori e ripetuti stress (ad esempio incendi o tagli dei boschi) che porterebbero il sistema verso condizioni di sempre maggiore instabilità, lontano dalle condizioni originarie (il classico  percorso involutivo che dalla lecceta e passando per la macchia e la gariga porta alla cosiddetta landa desertica). A seconda delle condizioni di partenza il recupero della vegetazione può portare o meno alla condizione di stabilità rappresentata dalla lecceta (la cosiddetta situazione climax). Per esempio la macchia mediterranea permette il ritorno, sia pure lentamente, del bosco di leccio, le cui plantule trovano sotto la chioma degli arbusti, condizioni di luce e umidità ottimali alla crescita.
La pineta a Pino Marittimo, in gran parte di origine artificiale, rappresenta un ambiente particolarmente instabile  (soprattutto per la sua sensibilità ad incendi e parassiti) che impedisce una successione ecologica che passando attraverso fasi a macchia bassa (a cisti o ad erica) e a macchia alta (a leccio o lentisco) porta alla lecceta ad alto fusto. Ci troviamo di fronte ad un territorio dove è sparita la matrice, cioè l'uso del suolo predominante (costituito dai terrazzamenti, sostituita da un mosaico di cui fanno parte appunto le piane ancora coltivate, quelle crollate e trasformate in frana, quelle invase dalle piante pioniere, zone e macchie di vario tipo, i lembi di lecceta già matura, pinete.
Ad ognuna di queste tipologie possiamo attribuire un diverso valore a seconda delle funzioni che riconosciamo al territorio di Tramonti.
Possiamo riconoscere cioè una funzione agricola produttiva (collegandosi all'esperienza di produzione di vini pregiati delle vicine Cinque Terre, passando quindi attraverso forme di cooperazione), turistica (una sorta di agriturismo che preveda il riutilizzo dei numerosi rustici), di parco naturalistico (privilegiando gli aspetti naturali a quelli antropici), o monumentale (una sorta di museo vivente testimone di una tipologia di utilizzo e assetto del territorio. Dovremo dunque scegliere una funzione che riconosciamo prevalente per il territorio: ed in questa scelta andranno valutati non solo gli aspetti che derivano dall'analisi del paesaggio ma anche i fattori sociali ed economici che vanno a ricadere su Tramonti e che possono anche avere origini molto lontane, (basti pensare al fatto che un certo prodotto o utilizzo turistico può rispondere efficacemente ad una domanda che nasce in mercati extranazionali, ad esempio tra gli abitanti della opulenta Europa centrale, che spesso negli ultimi anni hanno colonizzato i nostri borghi antichi e "pittoreschi"). Quindi le componenti ed i fattori che vanno presi in considerazione quando si intende pianificare l'utilizzo del territorio al fine di governare il cambiamento sono molti.
E a seconda dell'uso che vogliamo fare del territorio, alle varie tessere del mosaico ambientale verrà riconosciuto un valore diverso e, come l'ecologia del paesaggio dimostra, anche la disposizione, la forma ed il numero di queste tessere avranno una loro importanza. L'attività pianificatoria mirerà quindi in primo luogo a garantire al paesaggio una struttura e una rete di relazioni che siano da una parte rispondenti alle funzioni riconosciutegli, e dall'altra mantengano le funzioni di equilibrio nel tempo e nello spazio.

 

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Ultimo aggiornamento: 17-03-08