Dott. Fabio Giacomazzi
Biologo
Le profonde modificazioni economiche e sociali intervenute in questo
secolo nella maggior parte dei paesi industrializzati hanno portato, tra
l'altro, a quel fenomeno che viene indicato come "abbandono della
terra" (land abandonment, nel linguaggio scientifico internazionale).
Vaste porzioni di territorio, coltivate a fondo sino a pochi anni fa ed
alle quali veniva riconosciuto un alto valore economico, hanno cambiato
destinazione d'uso, oppure sono state lasciate al recupero della
vegetazione spontanea. L'analisi di questo fenomeno ha portato gli
studiosi del territorio, ma non solo questi, a porsi il problema di come
valuta re il ritorno alla naturalità ed in che modo eventualmente
"governarlo".
Spesso sulla base di una pseudo cultura ecologista si è valutato in
maniera eccessivamente positiva il recupero della vegetazione naturale,
la quale andava a cancellare l'intervento umano, facilitando così il
ritorno di specie vegetali ed animali selvatiche. Ciò in effetti può
essere vero per quanto riguarda certe aree montane, come il nostro
Appennino, dove il taglio sistematico del bosco, applicato dal
fondovalle sino alle più alte vette, aveva condotto, specialmente nel
dopoguerra, ad un profondo dissesto idrogeologico, che è stato in parte
attenuato dall'attuale recupero della vegetazione.
In effetti ci si è resi conto che nella maggior parte dei casi, invece,
l'abbandono delle zone agricole in aree di antica antropizzazione, come
ad esempio nel bacino del Mediterraneo, innescava processi di dissesto
del territorio e significava la perdita per sempre di aree produttive.
Per questi ed altri motivi si ritiene dunque indispensabile una presenza
dell'uomo sul territorio, in grado di valutare, controllare e nel caso
governare il cambiamento.
Ma per fare ciò occorrono tre cose: la conoscenza delle componenti e dei
fattori naturali ed antropici che vanno a determinare il paesaggio
attuale, la conoscenza dei meccanismi connessi alle dinamiche di
cambiamento connesse al suo cambiamento, e, sulla base di queste
acquisizioni, una chiara presa di posizione a livello pianificatorio sul
valore e sulla funzione che riconosciamo al territorio in questione .
Quando ci poniamo la domanda "Quale futuro per il territorio di
Tramonti" sappiamo di dover passare attraverso queste fasi cognitive e
decisionali.
Il territorio di Tramonti, dal punto di vista amministrativo, ricade
quasi completamente nel Comune della Spezia , nell'unica porzione che si
affaccia sulla riviera al di là del crinale del Golfo, stretto tra le
terre appartenenti ai comuni di Portovenere e Riomaggiore. Dal punto di
vista geologico corrisponde al primo tratto di arenaria macigno dopo i
calcari di Portovenere.
Ciò determina una diversificazione nella morfologia: si passa dalle
falesie a picco sul mare ad un declivio ripidissimo ma comunque
percorribile.
Il crinale, alto e vicinissimo al mare, protegge dai venti di
Tramontana ed espone il versante verso sud-ovest. Il clima è quindi
nettamente mediterraneo, ben distinto da quello che si determina
all'interno del Golfo della Spezia. In conseguenza di ciò la vegetazione
spontanea che un tempo ricopriva quasi interamente il versante era
costituita probabilmente dalla lecceta, accompagnata ai margini dalle
essenze che attualmente formano la macchia mediterranea (lentisco,
alterno, corbezzolo, cisto, ecc….).
Su queste caratteristiche naturali (che ho molto succintamente
delineato) si sono imposte delle modificazioni antropiche la cui natura
è stata determinata dalle condizioni ambientali (adattamento).
Probabilmente a partire dal XI secolo d.C. le popolazioni
dell'entroterra hanno cominciato ad utilizzare il territorio modificando
la morfologia naturale (caratterizzata da una acclività eccessiva per
qualsiasi pratica colturale) attraverso la tecnica del terrazzamento.
Questa tecnica prevedeva il taglio del bosco, l'eliminazione degli
apparati radicali, il dissodamento del terreno, la costruzione dei
muretti a secco ed il trasporto del materiale che andava a costituire il
terreno fertile. Questo gigantesco sforzo costruttivo era ripagato dal
fatto che, grazie alle caratteristiche climatiche, si rendeva possibile
attuare la coltura specializzata della vite e dell'olivo in maniera
molto più estensiva e proficua che nel versante interno dei territori di
Biassa e Campiglia.
Si è così costituito un cosiddetto "Paesaggio costiero agrario
terrazzato" (R. Terranova 1989)
che, più che quello odierno è ciò che ci doveva apparire il territorio
di Tramonti nel secolo scorso o al più tardi prima della seconda guerra
mondiale .
Questo paesaggio "artificiale" era mantenuto in equilibrio, e quindi
efficiente, dal continuo apporto di energia sotto forma di lavoro umano,
soprattutto per quanto attiene la manutenzione dei muri a secco.
Quando questo apporto di energia è venuto a mancare in conseguenza
dell'abbandono, si è instaurato un processo dinamico tendente a
riportare il sistema verso le condizioni naturali originarie: crollo dei
muri a secco, movimenti franosi, invasione dei terrazzi da parte della
vegetazione spontanea (pineta, macchia ad erica, macchia mediterranea e
macchia ad euforbia erborea).
In un ambiente come quello di Tramonti, caratterizzato da una forte
acclività (e quindi da un attivo dinamismo morfogenetico) e da
condizioni climatiche particolari (quelle tipiche del clima
mediterraneo: mitezza invernale accompagnata da una fase arida estiva) è
facile l'allontanamento dall'equilibrio in seguito a stress (sia di
origine naturale che antropica) ma anche il suo recupero (cattiva
stabilità di resistenza, buona stabilità di resistenza).
Si può quindi ipotizzare un recupero della naturalità abbastanza veloce,
a meno che non avvengano ulteriori e ripetuti stress (ad esempio incendi
o tagli dei boschi) che porterebbero il sistema verso condizioni di
sempre maggiore instabilità, lontano dalle condizioni originarie (il
classico percorso involutivo che dalla lecceta e passando per la
macchia e la gariga porta alla cosiddetta landa desertica). A seconda
delle condizioni di partenza il recupero della vegetazione può portare o
meno alla condizione di stabilità rappresentata dalla lecceta (la
cosiddetta situazione climax). Per esempio la macchia mediterranea
permette il ritorno, sia pure lentamente, del bosco di leccio, le cui
plantule trovano sotto la chioma degli arbusti, condizioni di luce e
umidità ottimali alla crescita.
La pineta a Pino Marittimo, in gran parte di origine artificiale,
rappresenta un ambiente particolarmente instabile (soprattutto per la
sua sensibilità ad incendi e parassiti) che impedisce una successione
ecologica che passando attraverso fasi a macchia bassa (a cisti o ad
erica) e a macchia alta (a leccio o lentisco) porta alla lecceta ad alto
fusto.
Ci troviamo di fronte ad un territorio dove è sparita la matrice, cioè
l'uso del suolo predominante (costituito dai terrazzamenti, sostituita
da un mosaico di cui fanno parte appunto le piane ancora coltivate,
quelle crollate e trasformate in frana, quelle invase dalle piante
pioniere, zone e macchie di vario tipo, i lembi di lecceta già matura,
pinete.
Ad ognuna di queste tipologie possiamo attribuire un diverso valore a
seconda delle funzioni che riconosciamo al territorio di Tramonti.
Possiamo riconoscere cioè una funzione agricola produttiva (collegandosi
all'esperienza di produzione di vini pregiati delle vicine Cinque Terre,
passando quindi attraverso forme di cooperazione), turistica (una sorta
di agriturismo che preveda il riutilizzo dei numerosi rustici), di parco
naturalistico (privilegiando gli aspetti naturali a quelli antropici), o
monumentale (una sorta di museo vivente testimone di una tipologia di
utilizzo e assetto del territorio. Dovremo dunque scegliere una funzione
che riconosciamo prevalente per il territorio: ed in questa scelta
andranno valutati non solo gli aspetti che derivano dall'analisi del
paesaggio ma anche i fattori sociali ed economici che vanno a ricadere
su Tramonti e che possono anche avere origini molto lontane, (basti
pensare al fatto che un certo prodotto o utilizzo turistico può
rispondere efficacemente ad una domanda che nasce in mercati
extranazionali, ad esempio tra gli abitanti della opulenta Europa
centrale, che spesso negli ultimi anni hanno colonizzato i nostri borghi
antichi e "pittoreschi"). Quindi le componenti ed i fattori che vanno
presi in considerazione quando si intende pianificare l'utilizzo del
territorio al fine di governare il cambiamento sono molti.
E a seconda dell'uso che vogliamo fare del territorio, alle varie
tessere del mosaico ambientale verrà riconosciuto un valore diverso e,
come l'ecologia del paesaggio dimostra, anche la disposizione, la forma
ed il numero di queste tessere avranno una loro importanza. L'attività
pianificatoria mirerà quindi in primo luogo a garantire al paesaggio una
struttura e una rete di relazioni che siano da una parte rispondenti
alle funzioni riconosciutegli, e dall'altra mantengano le funzioni di
equilibrio nel tempo e nello spazio.