I FICHI D'INDIA
A Campiglia questo
particolare frutto della natura, è largamente diffuso nelle aree del Persico
e del Navone, territorio che grazie al clima ed alla posizione ridossata dai
venti del Nord ha, in aggiunta, temperature invernali mitigate dalla
vicinanza del mare. Grandi piante si osservano sui dirupi sassosi, e la raccolta
dei succosi frutti avviene in concomitanza con la vendemmia settembrina.
Importato in Italia
in tempi lontani, il fico d’India è, forse, l’unico frutto non trattato con
additivi chimici. Cresce facilmente nelle zone calde ed aride ed è un ottimo
frutto estivo dagli effetti depurativi e rinfrescanti. I fichi d’India o
fichidindia (opuntia ficus indica) appartengono alla famiglia delle
Cactaceae, quella, per intenderci, del cactus e sono giunti in Italia dopo
un viaggio lunghissimo. Originaria del Sud dell’America, infatti, questa
pianta vive rigogliosa nella Cordigliera delle Ande e nelle Serre messicane.
Fece la sua prima apparizione in Europa grazie a Cristoforo Colombo
che l’aveva portata in Spagna, ma sembra siano stati i Saraceni ad
introdurre i fichi d’India in Italia allorquando, nell’827, sbarcarono a
Mazara, in Sicilia, da cui partì la conquista musulmana di quel territorio,
e da qui attraverso Sardegna e Corsica giunsero in Provenza, per poi
espandere la conquista su tutta l'attuale Liguria.
Sia da un punto di
vista estetico che prettamente botanico, questa pianta si presenta quasi
come un unicum. Le sue radici altro non sono che le pale (cladodi),
ossia le foglie carnose e piene di spine, che si sovrappongono generando in
tal modo un arbusto senza tronco e senza rami. I suoi fiori sono di colore
giallo ed i frutti, di forma ovoidale, crescono in cima alle pale e sono
coperti di spine mentre la loro polpa, assai succosa e ricca di vitamine,
contiene numerosissimi semi legnosi.
La pianta cresce
molto rapidamente, senza particolari cure nei territori aridi raggiungendo i
3-5 metri di altezza e non ha bisogno di acqua, ad eccezione della fase
iniziale quando una pala, meglio due pale, della pianta madre viene
interrata per circa due terzi per permetterne la riproduzione. Per il resto
attecchisce ovunque e con grande facilità tranne che alle basse temperature.
E’ fondamentale
ricordare che il fico d’India non necessita di interventi chimici per
potersi sviluppare ed è, quindi, una delle rarissime varietà di frutta che
non subisce manomissioni da parte dell’uomo. Si tratta, perciò, di un
prodotto che andrebbe meglio diffuso e consigliato per le nostre tavole e
per la dieta mediterranea, nella quale entra a pieno titolo per la sua
quantità di vitamine e di acqua. Se ne distinguono quattro varietà: a frutto
giallo, bianco, rosso e senza semi.
I fichi d’India
hanno una funzione depurativa anche a livello epatico e sono raccomandati
nei casi di calcolosi renale in quanto favoriscono la diuresi, vengono
impiegati come rimedio alle scottature e come analgesico. Nelle giuste
quantità hanno un effetto blandamente lassativo anche se i semi legnosi
contenuti nella polpa possono provocare stitichezza.
Inoltre le pale
vengono utilizzate per curare diverse patologie quali angine, tonsilliti,
tossi, febbri, suppurazioni ed ascessi. Una curiosità è che anticamente esse
venivano addirittura usate per levigare il legno. Uno studio più avanzato
sul fico d'India aggiunge a queste proprietà quelle di combattere i
parassiti del sistema digestivo, di essere utilizzata nel trattamento del
diabete e del colesterolo. La raccolta dei fichi d’India
richiede una tecnica ancora a livello non meccanizzato in quanto a tutt’oggi
viene adoperato il caratteristico “coppo”, una sorta di contenitore a forma
di tronco di cono sulla punta di un bastone, oppure bisogna munirsi di
appositi robusti guanti, insensibili alle spine.
Come si sbuccia
il fico d'India ?
Tenendolo fermo con
la forchetta; con un coltello ben affilato si tagliano le due estremità e si
incide per la lunghezza.... poi si fa "rotolare" sulla sua stessa buccia.