Siamo a Campiglia nell' Agosto del 1944, le vicende di guerra ormai stanno
volgendo a favore degli Alleati, le incursioni di ricognitori (Pippo), i
passaggi di bombardieri, si intensificano giorno dopo giorno; fanno la parte del
leone le cosiddette "Fortezze Volanti, B-17", (il rumore di
questi quadrimotori è ben noto ai campigliesi che, durante l'inverno '43-'44, ne hanno visti e sentiti passare a
decine in direzione di Cassino), i loro voli si susseguono a ritmo sempre più
insistente. I paesani, durante gli allarmi aerei si rifugiano dentro ad una
galleria a forma di "U", cioè con il punto di ingresso diverso dall'uscita,
questo rifugio antiaereo è stato scavato nella roccia con il lavoro dei campigliesi stessi: l'ubicazione è sotto la chiesa. In quell'assolato mese di
Agosto due umili paesane di Campiglia, scrivono una nobile pagina di coraggio e
di abnegazione; incuranti delle conseguenze a cui potrebbero andare incontro……,
ma leggiamo ciò che il giornale La Nazione del 4 Marzo 1970, a firma di F.C.
scrive, questo il titolo:
AMERICANO TORNA SUL LUOGO DOVE CADDE CON L'AEROPLANO .
Era una "fortezza volante" abbattuta venticinque anni fa - Si salvò con il
paracadute .
Il commovente incontro con una delle donne di Campiglia che per aiutarlo
rischiarono la vita. "Mia cara Matilde, dato che purtroppo non parlo né scrivo
italiano, ho pregato un mio amico di scriverti questa lettera. E' stata per me
una immensa gioia di poterti finalmente vedere, ieri; non ho mai scritto durante
tutti questi 25 anni, solo perché non conoscevo il tuo nome e indirizzo.
Entrasti nella mia vita per un breve momento e sparisti subito. Comunque in
tutti questi anni sei stata la persona più cara e importante della mia vita.
Come già ti ho promesso ritornerò presto e porterò mia moglie a conoscerti.
Accludo alla presente un assegno circolare della B.N.A. numero 3767829, quale
mio piccolo regalo. Sono molto contento di averti rivista e possa Dio benedirti
per quello che hai fatto ed io prego affinché ci possiamo rivedere presto. Ho
scritto anche ad Enrica. A presto". Questa breve e commossa lettera, spedita da
Roma il 13 Febbraio scorso, è stata ricevuta da Matilde Canese, un'anziana
signora che abita con la famiglia all'Acquasanta. Gliel'ha scritta un ingegnere
americano, Jule G. Spach, che giorni prima era ritornato a Campiglia, vicino
alle Cinque Terre, per rivedere i posti dove aveva vissuto una terribile
avventura e aveva fatto vivere anche momenti di angoscia e terrore a Matilde
Canese e all'Enrica nominata nella lettera: Enrica Sturlese di Campiglia. Jule
C. Spach faceva parte dell'equipaggio di una "fortezza volante" abbattuta nel
cielo del Tino e della Palmaria nell'Agosto del 1944. L'aereo si sfasciò in una
vallata di Campiglia, vicino alla villa del Dott. Bertonati, in località Albana.
I dieci aviatori si lanciarono col paracadute. Sei furono uccisi ancora prima di
toccare terra, tre vennero fatti prigionieri dai tedeschi. Jule C. Spach, allora
venticinquenne, riuscì a sfuggire alla cattura. Due donne lo aiutarono, appunto
Matilde Canese ed Enrica Sturlese: lo rifocillarono e gli dettero qualcosa per
ricoprirsi. Era rimasto con le sole mutande ed un orologio al polso. Ma poi
sopraggiunse un "collaborazionista" : L'americano finì nelle mani dei tedeschi e
le due donne in carcere, con il rischio di essere fucilate. Deportato in
Polonia, il pilota americano venne liberato alla fine della guerra. Dopo
venticinque anni è tornato nei luoghi dove la "fortezza volante" era stata
abbattuta: E' ritornato anche per rivedere e ringraziare le due donne che lo
aiutarono. L'incontro con Matilde Canese è stato molto commovente, Jule C. Spach
ha abbracciato e baciato più volte la sua soccorritrice di allora. "Tu molto
sofferto per me", non ha fatto che ripetere . "Ho cinque figli: tornerò con
loro. Tu molto sofferto. Io mandarti tanta roba ora che so chi sei e dove
abiti". Jule C. Spach era stato visto sulla Litoranea l'11 Febbraio. Si guardava
attorno, come se volesse riconoscere qualche luogo. Cercava il punto dove il suo
apparecchio venticinque anni prima si era schiantato al suolo. C'erano due
sposini. L'americano si è avvicinato, ma non è riuscito a farsi capire e se n'è
andato sconsolato. Poi si è saputo che si trattava di un americano e che più
volte aveva pronunciato la parola "aeroplano kaput". E' stato come un lampo per
Emilio Lombardo, titolare della trattoria delle "Cinque Terre". Sì un aereo
precipitato. Era una "fortezza volante" Agosto 1944. Era suonato
l'allarme e lui con la madre e tutti i familiari aveva cercato rifugio in una
cantina a Campiglia. Da una finestrina vedevano il cielo. Scorse così un
"bestione" provenire dalla Palmaria. Era un quadrimotore che, centrato dalla
contraerea, prese a precipitare. Dieci paracadute si aprirono nel cielo. L'aereo
andò a schiantarsi in una vicina vallata. "Poi si seppe, ci ha detto Emilio
Lombardo, che solo tre dei dieci aviatori erano giunti vivi a terra". Ma il
giorno dopo Matilde Canese ed Enrica Sturlese, che si trovavano nei boschi a far
legna, videro uscire da un cespuglio un giovane che indossava solo un paio di
mutande e aveva un orologio al polso. Alzò le mani e disse: "Americano". Indicò
quindi il cielo e con la mano fece il gesto di un apparecchio che precipitava.
Compresero subito che si trattava di uno degli aviatori lanciatisi col
paracadute. Le due donne lavoravano per conto della "Todd". Erano tempi duri, e
per campare, bisognava arrangiarsi. Ma il loro compito non era che quello di
procurare della legna. Detestavano i tedeschi quanto gli altri, e la loro
preoccupazione fu subito quella di dare un aiuto all'americano, di evitare che
cadesse in mano ai nazisti. Gli offrirono dei grappoli d'uva che il giovane
assetato ed affamato, consumò avidamente. Poi lo ricoprirono con una gonna ed un
grosso fazzoletto. Avevano deciso di condurlo a casa per dargli indumenti
maschili e aiutarlo a nascondersi o a fuggire. Ma sopraggiunse un "collaborazionista" e prese ad inveire contro l'americano che poi fu portato via
dai tedeschi. Per le due donne cominciò una terribile odissea. Lasciamola
raccontare a Matilde Canese: "Il collaborazionista, al quale però ho perdonato
tutto, ci aveva minacciato di denunciarci. E così fece. Fummo interrogate da un
maggiore tedesco. Ci disse che gli avevano riferito che eravamo delle donne
sovversive e che avevamo cercato di aiutare un nemico. Ci disse poi che per
quello che avevamo fatto c'era la fucilazione. La cosa ci sembrava tanto assurda
che io e la mia amica non ci rendemmo subito conto del grave pericolo contro il
quale potevamo andare. I tedeschi non scherzavano. Ci consegnarono alle SS che
ci caricarono su un camion e ci condussero prima in carcere a Villa Andreino,
poi a Baccano di Arcola in una villa dove c'era un comando tedesco. Chiesi ad un
tedesco che conoscevo, certo Vincenzino, che cosa sarebbe mai accaduto di noi".
"Non so, rispose ma potrebbe andare molto male: Kaputt". Io e l'Enrica
scoppiammo in lacrime. Non avremmo più rivisto le nostre famiglie. "Il giorno
dopo ci portarono davanti al comandante. Come sempre facevo dissi "buongiorno".
La risposta dell'ufficiale fu "buongiorno traditori della patria". E con
l'accendino fece "pum-pum". Non c'erano dubbi ci avrebbero fucilato". "Invece -
ha continuato la donna - ci portarono a Villa Andreino. Vi rimanemmo quattordici
giorni. In prigione trovammo la vecchia Paganini, poi morta in campo di
concentramento, e le sue figlie Bice e Bianca . Le avevano arrestate perché
avevano un figlio partigiano. Quando ci liberarono sembrò che fossimo uscite da
un incubo". E' stato lo stesso signor Lombardo ad adoperarsi per rintracciare
l'ingegnere americano che intanto, con la sua macchina, si era portato a Riomaggiore. Lo ha portato sul luogo dove l'apparecchio fu abbattuto e poi gli
ha chiesto se voleva rivedere anche le due donne che lo avevano aiutato e che
per lui avevano corso il rischio di essere fucilate . "Ma io sono venuto - ha
detto Jule C. Spach - proprio per loro. Non le ho mai dimenticate". Ha fatto da
interprete il genero del Lombardo, Pietro Pozzuoli. Poco dopo l'ingegnere
americano e Matilde Canese si sono gettati l'uno nelle braccia dell'altra.
Enrica Sturlese non si trovava invece a Campiglia: era a Chiavari, in visita a
parenti. "La rivedrò quando tornerò con mia moglie e i miei figli, quest'estate"
ha detto l'ex aviatore.
Da wikiSpedia.
STORIA
La batteria Cascino, fu una delle due strutture spezzine
dotate dei poderosi obici da 305 mm., l'altra era quella del
forte Cavour alla
Palmaria. Tali pezzi di artiglieria erano anche quelli di maggior
calibro presenti durante la Seconda Guerra Mondiale, visto che in tale
epoca i pezzi più grandi, quelli da 400 mm. del forte Umberto I, non
erano più in funzione. La batteria Cascino, aveva il compito di
colpire le navi nemiche che si fossero avvicinate al
Golfo spezzino; la portata dei pezzi era di oltre 17.000 metri.
Tali obici potevano sparare un colpo ogni 5 minuti, in considerazione
del tempo necessario per caricare i proietti, che pesavano 442 kg.
l'uno. Come si può vedere dalla due foto originali dell'epoca, i
proietti venivano trasportati tramite piccoli carrelli, e caricati sui
pezzi con appositi montacarichi. I proietti, le cariche e gli
esplosivi venivano tenuti in apposite riservette scavate nella roccia,
e leggermente distanti dalla zona pezzi. La batteria fu servita da
personale della Milmart prima, e poi da marinai della R.S.I., come si
può notare dalle due foto. Dai dati in nostro possesso questa
batteria, non entrò mai in azione contro navi nemiche, perchè mai si
avvicinaro alla
Spezia, ma verso la fine della guerra, aprile 1945, spararono
contro gruppi di partigiani presenti nei boschi vicini. Durante il
mese di aprile del 1945, a causa di un vile sabotaggio, un obice saltò
in aria causando la morte di dodici marinai italiani. Parlando della
batteria Cascino, è importante accennare alla presenza,
all'inizio della strada che conduce a
Campiglia, della polveriera dell'Acquasanta,
edificio costruito nella seconda metà dell'800, in una zona protetta,
essendo collocato in una stretta valle, ma vicina all'Arsenale
militare.
POSIZIONE
E STATO ATTUALE
La batteria Cascino è collocata in località Costarossa,
vicino allo splendido paese di
Campiglia, a circa 320 metri s.l.m.; tale località prende il nome
dal colore delle rocce ivi presenti, diaspri di colore rosso granata.
La particolarità della struttura è quella di essere posizionata non in
cima ad un promontorio o in vetta ad un monte, ma nascosta a mezza
costa; la struttura è infatti invisibile dal mare, e i proietti
scavalcavano l'ultima parte del monte e poi arrivavano in mare aperto,
ciò era possibile grazie al tiro curvo degli obici. Verso il mare era
collocata solamente la centrale di tiro, foto sotto, la quale forniva
i dati per il puntamento degli obici. La zona pezzi è completamente
protetta da una struttura in cemento armato, di notevole spessore,
alla quale si accede tramite una piccola apertura. Imponenti sono le
quattro piazzole degli obici, separate le une dalle altre da traverse,
sempre in cemento armato, e percorribili tramite varchi. Nella zona a
ridosso del monte vi sono i locali interni, ancora dipinti di bianco,
nei quali venivano tenuti i proietti pronti all'uso e tutti i
materiali necessari alla batteria. I locali del personale ed il corpo
di guardia sono invece collocati più in basso, lungo la strada che
conduce alla
Spezia; sempre sulla strada ci sono, come detto, altri locali
adibiti a depositi veri e propri, probabilmente di epoca anteriore
alla struttura dei pezzi. Attualmente le varie strutture sono adibite
a maneggio. Stato attuale: buono.
CARATTERISTICHE
Anno: anni '20 Funzione: antinave Armamento: 4 obici 305/17