PORTOVENERE - LEVANTO
Sentiero n. 1 del CAI
di La Spezia - 40 Km - ore 12
dislivello in salita: 1200 metri
di Riccardo e Cristina Carnovalini
Campiglia è un punto di passaggio
obbligato per chi, da Portovenere voglia percorrere questo meraviglioso
osservatorio panoramico sulle Cinque Terre. Ogni anno transitano nei
due sensi, dal paese, una media di 20 mila appassionati camminatori
che vanno alla scoperta del territorio. Qui di seguito troverete la
preziosa guida di due personaggi esperti, che vi condurrano attraverso
il tragitto: Riccardo e Cristina Carnovalini.
Chi non se la sente di compiere questa lunghissima traversata in un solo
giorno può portarsi la tenda, o, in estate, dormire sotto le stelle nel
sacco a pelo. Lungo il percorso non esistono, infatti, nè locande nè
alberghi e scendere fino ai paesi rivieraschi per pernottare è
sconsigliabile: il giorno dopo si dovrebbe recuperare un forte
dislivello. Il sentiero n. 1 del CAI di La Spezia, ben segnato con
vernice rossa e bianca, inizia nella piazza centrale di Portovenere,
capolinea dell'autobus "P". E' un'alta via delle Cinque Terre che
percorre quasi integralmente lo spartiacque tra il mare e l'interno e
offre panorami esaltanti. Superata l'erta salita che fiancheggia il
castello di Portovenere, la vista si apre sul mare aperto, Portovenere,
l'isola Palmaria e il golfo di La Spezia sovrastato dal profilo
seghettato delle Alpi Apuane e dall'Appennino tosco-emiliano. Nelle
giornate più limpide si vedono ben distinte le sagome scure della
Corsica, della Capraia e della Gorgona, che sembrano saldarsi
all'orizzonte. Procedendo sul crinale, a sinistra si succedono le pareti
rocciose che strapiombano in mare, mentre si sfiorano i forti Muzzerone
e Castellana.
Il
sentiero in alcuni tratti è intagliato nella roccia, in altri attraversa
una fitta zona boschiva che immette nel borgo medioevale di Campiglia,
400 metri, a picco sul mare, unico centro abitato che si incontra in
questo itinerario, prima di proseguire converrà fare rifornimento di
generi alimentari nel negozio sulla piazza della chiesa. Dopo Campiglia
il sentiero sale parallelo alla costa per raggiungere la località il
Telegrafo, a 516 metri, dove si trovano due ristoranti. Importante qui
è approvigionarsi d'acqua, perché non la si troverà più fino alla
Madonna di Soviore sopra Monterosso. Al telegrafo arriva anche una
strada da La Spezia, che si domina dall'alto, ed una sterrata che scende
sul versante marino immettendosi nella Via dei Santuari, un bel
tracciato panoramico di mezza costa. Dal bivio Bramapane, poco lontano
dal Telegrafo, il crinale si distende in direzione nord-ovest con scorci
entusiasmanti. In basso si scorge il primo paese costiero, Riomaggiore,
annidato in fondo ad una valle terrazzata da una grande quantità di
muri a secco per la coltivazione delle viti, quasi a sembrare dall'alto
una immensa scalinata. E' suggestivo notare come questo paesaggio
realizzato dall'uomo si fonda e si alterni felicemente con i tratti
scoscesi e incolti della dorsale, dove regna la macchia mediterranea,
con gli scoscesi colori delle eriche, delle ginestre e dei corbezzoli e
con i boschi di pini, marittimi e domestici, di castagni e di lecci. Il
nostro percorso di spartiacque da qui in poi delimita in tutta la sua
lunghezza in comprensorio delle Cinque Terre a monte di Riomaggiore,
Manarola, Corniglia, Vernazza e Monterosso. E' un segmento quasi
pianeggiante, compreso fra i 600 e gli 800 metri sul livello del mare,
che si interseca con le numerose mulattiere colleganti i centri
rivieraschi con quelli dell'entroterra. Il crinale si allontana dalla
costa solo alle spalle di Vernazza, descrivendo un'ampia "C" che perde
quota alla Foce Drignana. Questa zona fra il monte Marvede (689 m) e
Termine, è caratterizzata dalla copiosa presenza di ginestrone spinoso
(Ulex europeus), una pianta che puo' arrivare sino a a quattro metri di
altezza e che in primavera propone una fioritura gialla profumatissima.
E' molto pungente, però, per cui e' consigliabile indossare robusti
pantaloni visto che il sentiero abbonda di questa incomoda, seppur
bella, presenza. A Termine ci si congiunge alla strada provinciale che
sale da Pignone e la si segue fino al Colle della Gritta a parte una
breve deviazione per il Santuario di Soviore, dove si trovano acqua e
ristoro. Dopo il bar-trattoria della Colla, si riprende sulla sinistra
il sentiero che si sviluppa tra i pini lungo la selvaggia dorsale Monte Rossini-Punta Mesco. Sotto al Monte Vè o Focone, dopo un quadrivio, la
mulattiera gira in piano a sinistra, evitando la vetta e segue
l'andamento verso Punta Mesco, uno degli angoli più selvaggi
dell'itinerario. In vista del semaforo di Sant'Antonio si inverte il
cammino, piegando a destra di quasi 180 gradi in direzione di Levanto e
trascurando il sentiero del CAI n. 10 che scende a Monterosso. Nel
versante a mare del monte Vè si fiancheggiano prima un fitto bosco e poi
case e uliveti, fino a collegarsi alla strada asfaltata che si
abbandonerà poco dopo, per riprenderla un chilometro più avanti e
staccarsene definitivamente scendendo una scalinata che affianca il
castello e sbocca nella passeggiata a mare.
PORTOVENERE
- CAMPIGLIA
A cura del Prof. Mauro Mariotti
Nº segnavia: 1 - 1 a - 1
Quote: Partenza 2 metri , Arrivo : 400 metri
Dislivelli totali: 478 m (439 salita, 39 discesa)
Lunghezza percorso: 5 Km. circa
Difficoltà : Lieve
Tempo di percorrenza: 2 ore e 15 minuti
Caratteristiche: L'itinerario, seppure un po' faticoso per la ripidità
iniziale, è nel complesso agevole; offre scorci panoramici tra i più
belli di tutta la Riviera e l'opportunità di osservazioni naturalistiche
interessanti. E' possibile proseguire lungo tutto l'asse orografico
delle Cinque Terre oppure allacciarsi con altri sentieri che scendono al
mare o a La Spezia. Dalla piazza principale di Portovenere, capolinea
dei servizi di trasporto pubblico (Linea P), proprio sui fianco destro
della porta del borgo medievale, inizia a salire ripidamente il sentiero
per alti ed irregolari scalini intagliati nella roccia. Occorre fare
attenzione perché sovente le pietre sono umide e piante di Acanto (Acanthus
mollis) e di Erba vetriola (Parietaria diffusa) possono nascondere
l'insidia di qualche buco. Dalla porta, ove è possibile leggere ancora
l'iscrizione originale "Colonia Januensis, 1113", si costeggiano quindi
le mura del Castello; il sentiero si fa poi più dolce inoltrandosi in
una formazione di arbusti mediterranei che hanno colonizzato anche fasce
di uliveto ormai abbandonate. Sulla sinistra si possono vedere la
chiesetta di S. Pietro sulla punta protesa sui mare e l'Isola Palmaria,
sulla destra il mare interno del Golfo di La Spezia.
Interessanti in questo punto sono i grandi cuscini di Euforbia arborea (Euphorbia
dendroides) e quelli più rari di Olivastro (Olea europaea var.
sylvestris) che sul pendio occidentale appaiono come pettinati dal
vento. Queste specie ci indicano caratteristiche climatiche più calde ed
aride che si discostano da quelle proprie del resto della Riviera di
Levante. L'Euforbia, che fra l'altro presenta il noto fenomeno dell'estivazione,
ha invaso abbastanza rapidamente i coltivi abbandonati dimostrando una
elevata capacità di colonizzazione sui substrati calcarei piu o meno
compatti. Nella macchia spiccano per forme e colori i ciuffi dell'
Ampelodesma (Ampelodesmos mauritanica), i bianchi fiori del Cisto di
Montpellier (Cistus monspeliensis), il giallo della profumatissima
Ginestra (Spartium junceum), i Caprifogli (Lonicera implexa e L.
etrusca) che avviluppano verdi cespugli di Lentisco (Pistacia lentiscus).
Il sentiero sale di nuovo ripido fra i blocchi di portoro ed i resti dei
macchinari di una cava; infatti sulla sinistra una deviazione di pochi
metri ci porta alla Mandrachia o Cava Canese. C'e qui una "terrazza"
splendidamente panoramica: bei Pini d'Aleppo si stagliano sullo sfondo
del mare e le rocce scendono con strapiombi di oltre 100 metri quasi
verticali sugli scogli dove si frangono le onde. Sulle rocce intorno
crescono qua e là vividi cespi di Fiordaliso di Portovenere (Centaurea
veneris) un endemismo esclusivo di questo promontorio e delle isole
antistanti. Qui è stata rinvenuta anche la Vedovina delle Apuane (Globularia
incanescens) una specie graziosa ed antica, endemica di un'area
ristretta delle Alpi Apuane e dell'Appennino tosco-emiliano.
Su alcune rupi e pareti presso una "galleria" a fondo cieco vi sono i
chiodi di alcuni impegnativi passaggi della "palestra di roccia".
Occorre raccomandare la massima prudenza perché sui cigli dei precipizi
non esistono protezioni ed e meglio tener per mano eventuali bambini.
Subito dopo e possibile proseguire svoltando a destra per il sentiero
normale (Nº 1) o salire, un po' più ripidamente, per la variante (Nº1
a) che passa in prossimità del Forte Muzzerone. Chi avrà optato per la
variante potrà osservare splendide fioriture di Iberide (Iberis
umbellata), dai petali curiosamente ineguali, Campanula media (Campanula
medium), Spadacciola (Gladiolus communis) ed orchidee di diverse specie
{Anacamptis pyramidalis, Ophrys sp.pl., ecc.). Alzando un poco gli occhi
si godrà di scorci indimenticabili: sull'aspra costa a picco sul mare,
con vertiginosi strapiombi, persino di 350 m, si protendono qua e là
piccoli lecci e vetusti, seppur minuscoli, Pini d'Aleppo (Pinus
halepensis).
Questi hanno l'aspetto di veri e propri "bonsai" naturali. In questa
zona, con un po' di fortuna, potrà capitare di vedere qualche timida
Pernice rossa (Alectoris rufa), mentre si butta a precipizio verso le
onde, oppure Corvi imperiali, Passeri solitari e persino il Falco
pellegrino. Sulle pareti, sotto al Forte, c'e una palestra di roccia
molto suggestiva per la sua posizione rivolta al mare. Dall'ottocentesco
forte ci si ricollega, in discesa, al percorso principale, presso la
Sella Derbi. Lungo la discesa, in prossimità di una curva si incontra
sulla sinistra una stradina sterrata che porta da un'altra cava e, di
nuovo, ad un'altra splendida terrazza panoramica. Anche qui vi è un
vasto campionario di piante rupicole, tra le quali spicca il Fiordaliso
di Portovenere (Centaurea veneris). Sulle pareti vi sono altri
"attacchi" della "Palestra di roccia" ed in alto, attraverso una
suggestiva "finestra" è possibile osservare una cava in attività. Anche
qui la visita alla terrazza ed eventualmente alla cava richiede estrema
prudenza.
Scegliendo invece il sentiero principale, dalla Cava Canese, svoltato a
destra, si deve proseguire quasi in piano sui pendii rivolti verso il
Golfo di La Spezia fino ad innestarsi su una curva della strada
asfaltata che sale al Muzzerone e si deve scendere per questa in un
boschetto di pini marittimi, roverelIe e carpini fino alla Sella Derbi.
Sia dal sentiero principale, sia dalla variante si possono osservare
bene l'isola Palmaria e i terrazzamenti marini sulla parte interna del
Golfo, primo fra tutti quello della Punta del Varignano.
Da Sella Derbi, in prossimità di un cippo che commemora gli aviatori
caduti durante un volo di esercitazione nel 1937, si riprende a salire
per un sentiero che lambisce dapprima la curva di una strada militare
per il M. Castellana e poi si immerge in una estesa macchia bassa.
Questa si presenta in vari aspetti a seconda che predominino i Cisti {Cistus
salvifolius e Cistus monspeliensis) l'Erica (Erica arborea) o il Leccio.
Quest'ultima essenza, in alcuni punti, è presente in consorzi più o meno
puri che rappresentano stadi finali di una evoluzione recente. La
diversità del paesaggio vegetale è dovuta comunque non solo alla varietà
morfologica del territorio, ma anche al periodico verificarsi degli
incendi.
II sentiero prosegue, sovente con forti pendenze, sui versanti a mare
del M. Castellana (512 m) ed in alcuni punti appare intagliato nelle
rocce alla base delle quali crescono minuscoli suffrutici di Fumana dai
delicatissimi fiori gialli (Fumana ericoides, F. thymifolia, ecc.). Si
incontra una piccola sporgenza a guisa di terrazzo dalla quale si gode
una suggestiva visione panoramica sulla costa del promontorio verso
Portovenere e la Palmaria. Da qui si diparte in leggera discesa un
sentierino, ormai nascosto nella macchia e difficile da percorrere, che
porta ad un edificio, di proprietà Bertonati, a foggia di castello con
torre.
Il tratto che stiamo percorrendo attraversa una zona geologicamente
molto interessante, di contatto tra formazioni differenti che fanno da
tramite fra la "lama calcarea di La Spezia" e le arenarie del "Macigno".
In un brevissimo spazio si succedono verso ponente i calcari selciferi
del Lias medio e superiore (180-175 M.A.), le Marne a Posidonomya del
Dogger (175-160 M.A.) , i Diaspri del Malm (160-135 M.A.), la Maiolica
del Cretaceo inferiore (135-100 M.A.) e gli scisti policromi che
testimoniano un periodo più lungo, dal Cenomaniano all'Oligocene (100-26 M.A.). Tale successione ha un evidente effetto sui paesaggio che, per
la presenza di scogliere e rocce denudate acquista una particolare e
suggestiva policromia: il grigio giallastro, il rosso vinato, il grigio
cupo, il verde-grigio, il bianco-rosato, ecc., si accostano e si
intercalano anche per gli effetti dei movimenti tettonici che talora
hanno piegato, strizzato e laminato gli strati subverticali di questa
"zona cerniera".
L'itinerario continua passando alto sulla Valle di Albana, dove una
bella ed estesa lecceta è stata danneggiata da un violento incendio
(appiccato in una notte invernale del 1987); in basso il Castelletto di
cui si e accennato prima. Il sentiero sbocca su un tornante della strada
asfaltata che da La Spezia sale a Campiglia; si segue questa per pochi
metri poiché il sentiero riprende sulla sinistra attraversando una bella
pineta di pini marittimi nella quale il sottobosco è dominato dal leccio
e dagli arbusti della macchia. Qua e là sono presenti anche ciuffi di
Erica herbacea dalla graziosa fioritura rosata: tale specie in questa
zona è presente solo sui versanti più freschi ed umidi rivolti verso il
golfo e manca completamente su quelli esposti verso il mare aperto.
Si tocca nuovamente la strada asfaltata laddove, poco dopo, sulla
sinistra si distacca il difficile sentiero 11° diretto verso il mare in
fondo alla Valle di Albana. Oltrepassate alcune case, sempre sulla
sinistra, chiusa da un cancello, c'e anche la strada privata che porta
alla Casa Boccardi. Si attraversa un campetto di calcio e nuovamente una
pineta dove spicca la caratteristica torre circolare in pietra di un
vecchio mulino a vento, forse costruito nel 1840 (come ricorda la data
incisa sull' architrave) ed utilizzato nel passato per la macinatura
delle castagne. Prima del mulino, nella pineta, a quota 400 circa, vi è
un sentierino che sulla sinistra porta su un costone meritevole di una
breve deviazione. Ci si trova infatti in un'ottima posizione panoramica
(Detta Telemetro): da levante a ponente si distinguono l'isolotto del Tinetto, le isole del Tino e della Palmaria, il M. Castellana e la
magnifica costa sottostante, la Valle di Albana, Schiara con le sue
cantinette e l'aguzzo scoglio Ferale.
Ritornati sui sentiero principale, si costeggia la chiesa di S.
Caterina, edificio a navata unica, presbiterio con volta a crociera e
campanile separato a pianta quadrata, giungendo infine alla piazzetta
allungata di Campiglia.
Qui si incrociano diversi sentieri che ricalcano percorsi antichi: la
prosecuzione del Nº 1 che, lungo il crinale, ci porta al Colle del
Telegrafo; il Nº 11 che mette in comunicazione le terre interne del
golfo con quelle sul mare aperto, tagliando perpendicolarmente il
promontorio occidentale tra le località di Marola e Persico ; il Nº 4b,
che attraversa a mezzacosta tutta la zona di Tramonti da Fossola a
Campiglia ; il Nº 4a che collega Campiglia a Biassa.
A Campiglia è possibile sostare riposando su delle panchine all'ombra e
ristorarsi ad una fontana che si trova poco dopo la piazza.
CAMPIGLIA -
COLLE DEL TELEGRAFO -
RIOMAGGIORE
Nº segnavia: 1 - 3
Quote: partenza: 400 m, Arrivo 8 m, massima: 513 m.
Dislivelli totali: 613 m (113 salita, 510 discesa)
Lunghezza percorso: 8,3 km Difficoltà: lieve
Tempo di percorrenza: 2 ore e 15 minuti
Caratteristiche: l'itinerario si può dividere in due parti non solo
sotto il profilo escursionistico (salita e discesa), ma anche sotto
quello ambientale; infatti mentre la prima parte si svolge in un
paesaggio prettamente naturale, la seconda avviene attraraverso un
territorio ampiamente coltivato e straordinariamente improntato
dall'uomo fin da epoche remote.
Il borgo medievale di Campiglia è raggiungibile da La Spezia, attraverso
una carrozzabile, con l'autobus Nº 20 oppure a piedi dalla località
Acquasanta seguendo il sentiero Nº 11 o ancora da Portovenere tramite il
sentiero Nº 1.
Il nostro itinerario si snoda inizialmente proprio lungo la prosecuzione
di quest' ultimo, che si imbocca salendo per una scalinata sulla
sinistra della fontana (che si trova poco distante dalla piazzetta
principale). Si percorre il crinale dal quale si gode una vista stupenda
su tutto il Golfo; voltandosi, si vedono, poco sotto, i tetti di
Campiglia e, più oltre, l'isola del Tino immersa nel mare aperto; sulla
sinistra, in lontananza, le Alpi Apuane.
Attraverso un mosaico di fasce coltivate ed abbandonate si giunge ad una
casa, Casa della Valletta, circondata dai pini; si rasenta la recinzione
della proprietà e poco dopo si incontra un bivio. Occorre prendere a
destra entrando in una pineta diradata che riporta i segni di incendi
ricorrenti: nel sottobosco domina la felce aquilina che grazie ai propri
rizomi profondi riesce a sopportare meglio di altre piante il passaggio
del fuoco. Attraverso alcuni squarci tra i pini si osservano ancora,
lontane, alcune delle cime più alte delle Alpi Apuane: il Sagro, il
Pisanino e il Pizzo d'Uccello. Ivi le cave di marmo biancheggiano come
nevi perenni. Si incontrano alcuni grossi massi di arenaria e si
prosegue per breve tratto quasi in piano sino a raggiungere un tornante
della strada carrabile forestale che sale da Campiglia al Telegrafo
(Strada dei Tedeschi).
Si sale ancora sino al crinale della Rocca degli Storti sempre in mezzo
ad una pineta ora più densa ed ora più rada; si percorre il crinale
stesso, tenendosi leggermente sul lato a ponente e si incontra
nuovamente la strada carrabile.
Questa passa per un tratto sulle pendici rivolte verso il golfo prima di
tornare su quelle che prospettano il mare aperto. Ciò dà modo di
osservare un deciso contrasto di vegetazione: la netta prevalenza di
castagni e di altre latifoglie decidue (Roverella, Orniello, Carpino
nero) sul versante interno più fresco ed umido, Pini marittimi, Lecci ed
altri elementi termofili della macchia sul versante esterno e
relativamente più arido. Tale situazione è stata in parte determinata
dall'uomo con la diffusione del Pino marittimo e del Castagno, ma
corrisponde in modo abbastanza preciso a differenti condizioni nei
microclimi e terreni. Ciò è deducibile da altri caratteri della flora e
della vegetazione: per esempio sulle pendici rivolte a ponente è
possibile incontrare qualche piccolo esemplare di sughera che si è un
poco distanziato dai nuclei principali sottostanti raggiungendo la quota
di 570 m, una delle più elevate in Liguria per questa interessante
specie mediterranea a gravitazione occidentale.
II tratto restante sino al Telegrafo attraversa un'area molto
frequentata soprattutto nei giorni festivi: essa infatti è facilmente
raggiungibile con autovetture dalla città di La Spezia ed offre la
possibilità di allenarsi nel verde di una maestosa pineta lungo un
percorso ginnico con 15 punti di sosta per l'esecuzione di esercizi a
corpo libero e con attrezzi - già in loco ; inoltre si trovano aree
attrezzate con tavoli e panche per il riposo ed eventuali pic-nic, due
ristoranti ed uno spiazzo per il ballo. Il luogo è inoltre un continuo
incrociarsi di sentieri.
Alcuni di questi sono abbastanza pianeggianti ed adatti a persone che
non prediligono eccessivi sforzi fisici o non possono compierli; altri
(Nº 4 e 4c), più impegnativi, scendono ripidamente da un lato verso il
mare a Schiara, Monesteroli e Fossola e dall'altro verso Biassa. Il
posto è comunque delizioso nelle mattine dei giorni feriali e nei
periodi di minore afflusso turistico: la "Palestra nel Verde" - un
circuito di 2,5 km con 150 m di dislivelli - costruita dal Comune di La
Spezia su iniziativa del locale Panathlon Club nel 1982 è una ottima
occasione per ritemprare le forze del corpo, non con il solito "jogging"
lungo strade piene di polvere e sature di inquinanti, ma in un ambiente
naturale dove l'aria profuma di resina.
Il nostro itinerario segue in leggera discesa la strada forestale sino
alla Cappella di S. Antonio, recentemente restaurata; questa e una
chiesetta in pietra con un campanile a vela in miniatura. La sera della
vigilia del 13 giugno, la popolazione sale qui da Biassa per festeggiare
con fuochi e canti il santo patrono e in quella ricorrenza diverse
famiglie si trasferiscono nelle proprie "cantine" di Schiara.
Alle spalle della Cappella vi è l'area attrezzata con tavoli e panche e
la parte absidale della cappella stessa è un piccolo rifugio utile in
caso di maltempo; inoltre si incontrano proprio qui i sentieri che
collegano Biassa ai paesi di Tramonti.
Le pendici che da S. Antonio degradano verso il mare sono tra le più
interessanti per osservare alcuni aspetti della vegetazione mediterranea
e le loro tendenze evolutive. E' notevole rilevare come sotto i maestosi
pini marittimi non crescano quasi giovani esemplari di questa specie, ma
dominino il Leccio ed arbusti della macchia come l'Erica e il
Corbezzolo. Essi costituiscono quasi una seconda foresta sottomessa al
bosco di conifere, ma si intuisce che se si lasciasse fare alla natura,
la foresta di latifoglie avrebbe prima o poi il sopravvento.
Questo dato ci testimonia quale sia la vegetazione potenziale delle
Cinque Terre: una immensa foresta di lecci. La realtà è differente
perché l'uomo ha provveduto alla diffusione del pino.
Trovandoci sul crinale si può vedere come vi siano condizioni di
transizione fra microclimi molto differenti e come ciò favorisca
l'accostamento di specie tipiche di ambienti caldi con quelle di
ambienti freschi. Vediamo perciò, come esempio, vicine tra loro due
rubiacee molto affini sistematicamente, ma con esigenze ecologiche
distanti: il Caglio ellittico (Galium scabrum) - che predilige sugherete
e leccete del Mediterraneo occidentale e della Macaronesia - e il Caglio
a foglie tonde (Galium rotundifolium) tipico delle faggete e di altri
boschi di caducifoglie delle montagne euroasiatiche -.
Dopo la Cappella di S. Antonio vi e una lievissima salita e il sentiero
Nº 1 si distacca dalla strada per seguire, poco discosto da questa, il
crinale, con tratti coperti da pini e castagni e tratti immersi in una
macchia degradata che in primavera è tutta un fiorire di Ginestra e
Ginestra dei Carbonai.
Si arriva con lieve discesa al Colle del Telegrafo dove si incontra
nuovamente la strada forestale;
sulla sinistra vi sono due ristoranti e un parcheggio. II colle del
Telegrafo rappresenta un importante crocevia. Qui si incontrano: la
strada asfaltata che da La Spezia sale al M. Verrugoli e al M. Parodi
passando da Biassa e torna in città attraverso la Madonna della Guardia
o attraverso La Foce; l'inizio della "Strada dei Santuari" che percorre
a meta costa tutte le Cinque Terre; il sentiero Nº 3 che scende a
Riomaggiore.
E' proprio quest'ultimo che dobbiamo imboccare subito dopo una trattoria
e prima della "Strada dei Santuari". Il sentiero scende dolcemente in
mezzo ad una folta macchia di Eriche, Corbezzoli e Ginestre, sovrastata
qua e là da Pini marittimi.
Dopo circa 500 m, in prossimità di una piccolo croce lignea, il sentiero
si biforca; occorre scendere a sinistra tralasciando l'invitante
prosecuzione in piano perché dopo pochi metri diventa intransitabile.
Poco dopo, sulla sinistra si trova una piccola grotta artificiale
scavata dai tedeschi nell'ultima guerra; tale cavità può costituire un
utile ricovero in caso di maltempo. Il paesaggio comincia a cambiare:
entriamo in una estesa zona dove fasce coltivate a vite s'alternano a
fasce ormai abbandonate come in un complesso mosaico. Il panorama è
stupendo: poco sotto si notano le graziose case di Lemmen, sulla costa
successiva - più in basso - il Santuario di Montenero e, molto più
lontano, si protende sul mare Punta Mesco.
Giungiamo su un sentiero pianeggiante e svoltiamo a destra;
attraversiamo il piccolo nucleo abitato di Lemmen. Questo, come altri
situati all'incirca alla stessa quota, hanno un'origine molto più antica
del borgo marittimo di Riomaggiore; secondo alcuni il toponimo Lemmen
risalirebbe addirittura alla civiltà greca arcaica. E' comunque
storicamente documentato che gia nel 1200 esisteva una direttrice viaria
di mezza costa che collegava gli abitati di Lemmen, Cericò, Casarino e
Montenero; gli uomini di questi centri furono chiamati a giurare fedeltà
alla Repubblica Genovese nel 1251 durante le guerre con Pisa. E'
probabile che proprio dagli abitanti di questi piccoli borghi venisse
fondata Riomaggiore. Attraversiamo dunque il gruppo di case in pietra di
Lemmen con un riverente rispetto; sono da notare una graziosa cappella
ed una vasca, con funzioni di abbeveratoio, scavata a mano nella roccia.
Questa contrasta con la stazione di una moderna teleferica presso la
quale si distacca una diramazione che scende sulla strada litoranea
asfaltata. Dobbiamo invece continuare in piano, attraversare il fosso
della Valle di Serra e proseguire in mezzo ai vigneti e alle fasce in
parte abbandonate; da qui si può osservare in modo estremamente chiaro
l'imponente e secolare opera modellatrice dell'uomo espresso dagli
incommensurabili muri a secco. Le viti crescono basse e ricevono il
colore della terra che qui si trova in una delle migliori esposizioni di
tutto il territorio. Si arriva presto in località Casarino; si scendono
alcuni gradini e si svolta bruscamente a sinistra. Dopo aver costeggiato
un muro, si percorre in discesa il crinale della Costa di Montenero;
questo tratto, in comune col sentiero Nº 3 che da Riomaggiore sale alla
"Strada dei Santuari", è uno dei più panoramici delle Cinque Terre: si
vedono a levante la costa di Tramonti e l'Isola del Tino, mentre a
Ponente tutte le Cinque Terre e il Promontorio del Mesco. Il sentiero
scende tra vigneti abbandonati ed ormai riconquistati dagli arbusti
ricostruttori della macchia: dominano l'Erica, il Corbezzolo, il Mirto,
il Terebinto e la Ginestra. Qua e là si è diffuso l'invadente Ailanto,
una specie dell'estremo oriente, introdotta incautamente per
l'allevamento poi fallito della grande farfalla Phylosamia cynthia ai
fini di una sericoltura alternativa al tradizionale Baco do seta (Bombyx
mori).
Alcuni gradini ci portano ad un ampio prato e siamo al Santuario di
Montenero. Qui si può sostare su delle panchine all'ombra ed osservare
ancora il panorama: a levante si scorge ora anche la Palmaria. In coso
di pioggia un portico può offrire riparo a diverse persone. Il santuario
è rappresentato da un complesso di edifici tra i quali spicca la chiesa
di S. Maria di Montenero. Pur avendo un'origine molto antica, la chiesa
non presenta più alcun segno delle strutture medievali; essa ha
lineamenti barocchi e deve la sua forma con tre navate, portico
antistante e campanile quadrato con cupola ad un rifacimento del XIX
secolo.
Sul sagrato il Nº 3 si separa continuando a scendere direttamente lungo
il crinale, mentre il nostro itinerario continua sulla destra per una
mulattiera che aggira in lieve discesa il santuario e si inoltra nella
Valle di Riomaggiore.
Tra la macchia di eriche e ginestre, sui muri a secco crescono
abbondanti le felci. Proprio in questa zona, alle spalle di Riomaggiore,
si possono trovare alcune Pteridofite molto interessanti e rare: la
Felce tirrenica (Dryopteris tyrrhena), l' Asplenio lanceolato (Asplenium
billotii), la Felcetta di Madera (Cheilanthes maderensis).
La mulattiera continua a scendere tra pini, castagni e coltivi per lo
più abbandonati; si attraversano alcuni piccoli rivi e si giunge ad un
torrente più ampio che proviene dal M. Verrugoli, visibile in alto con
la sua selva di antenne. Si piega decisamente a sinistra e si segue il
torrente, lungo il quale crescono, qua e là, alberi di Ontano, una
specie decisamente legata all'acqua. Dopo poco, sulla destra, un
ponticello mena all'ingresso di un podere chiuso da un cancelletto
incastonato in un tratto di muro rosa con tre graziose nicchie. Sino ad
alcuni decenni fa tali tipi di ingresso ai poderi erano abbastanza
frequenti nell'area compresa fra Riomaggiore e Bonassola; ora ne restano
pochi.
Più oltre un altro ponticello ad arco in pietra scavalca il torrente. Si
scende una scala in cemento e si attraversa la strada statale litoranea.
Si continua a scendere lungo la "Valle dei Mulini" per una mulattiera
splendidamente lastricata, immersi sempre nel verde di una vegetazione
che mescola sapientemente piante mediterranee di ambienti caldi con
altre favorite dalla frescura e dall'umidità elevata.
Si costeggiano alcune rustiche casette con i loro poderi (piccoli lembi
coltivati ad orto o vigna); dopo aver incontrato sulla destra un'altra
mulattiera che risale verso le sorgenti dell'acquedotto di Riomaggiore,
si rasenta un vecchio mulino e si attraversa il ruscello sbucando poco
dopo nella parte alto del paese di Riomaggiore. Proseguiamo in ripida
discesa sulla copertura in cemento del torrente che attraversa
longitudinalmente il paese fino al tunnel pedonale che sulla destra ci
porta rapidamente alla stazione.
CAMPIGLIA
- ALBANA
(mare)
Segnavia: 11a
Quote: partenza 400 m, arrivo : 0, max : 403 m
Dislivelli totali: 406 m
Lunghezza: 1,3 km
Difficoltà: discreta
Tempo di percorrenza: 40 minuti
Caratteristiche: Il sentiero, che si distacca dal Nº 1 poco sotto a
Campiglia, è piuttosto difficoltoso perché sovente sommerso dalla
vegetazione che qui presenta uno dei più belli esempi di lecceta della
Liguria. In prossimità della meta si gode uno stupendo panorama verso
Portovenere e le isole e si possono osservare interessanti contatti tra
formazioni geologiche diverse.
Si
raccomanda di mantenere un comportamento corretto nell'attraversare
le proprietà private e di fare attenzione ai cani da guardia. Il ritorno
può essere fatto risalendo lo stesso sentiero o il sentiero 11 su una
strada sterrata, chiedendo gli opportuni permessi.
Il sentiero inizia nei pressi del piccolo campo sportivo di
Campiglia distaccandosi dalla strada che sale da La Spezia e che in quel
tratto è percorsa anche dal sentiero Nº 1. Il punto preciso della
diramazione è sulla curva vicino a dove il sentiero Nº 1 salendo entra
nella strada asfaltata.
Il nostro sentiero scende abbastanza ripidamente zig-zagando dentro
un folto bosco di lecci. La scarsa quantità di luce che filtra ha
ridotto gli arbusti di erica che un tempo costituivano la macchia a
poveri esemplari scheletriti; nelle zone più illuminate fioriscono Emeri
(Coronilla emerus), Euforbie cespugliose (Euphorbia characias), Ellebori
(Helleborus foelidus), Viole (Viola alba), mentre nel sottobosco più
frequenti sono l'Asplenio maggiore (Asplenium onopleris) e il Pungitopo
(Ruscus aculeaIus). In alcuni tratti abbondano la Strappabraghe (Smilax
aspera) e la Robbia (Rubia peregrina) che possono ostacolare
notevolmente il transito. In certi lembi di bosco, inoltre, vi sono
alberi di Pino marittimo che male si addicono al carattere naturale del
paesaggio. Una volta giunti al Fosso di Albana, si lambisce una strada
sterrata che incontreremo più volte scendendo ancora; la strada
purtroppo ha intaccato gravemente la continuità della lecceta e favorito
la diffusione di specie ruderali.
Si passa vicino ad un edificio dalla foggia a castello, con torre,
dalle apparenze antiche; esso ha invece un'origine recente ed e stato
ricostruito più volte anche perché negli ultimi anni ha subito i danni
di gravi incendi. Si arriva ad una zona in parte coltivata ed in parte
abbandonata e si attraversa il Fosso passando sul versante opposto in un
alternarsi di pini, arbusti della macchia ed incolti.
Si scende ora più ripidamente in prossimità di un crinale di Punta
Persico fino a giungere a delle baracche poste immediatamente a Ovest di
Casa Boccardi. Da qui si ha la più spettacolare visione della costa
dell'estremo levante ligure: a ponente una lingua di spiaggia detritica,
lo scoglio Ferale e le punte allineate dove sorgono Schiara, Monesteroli
e Fossola, e a levante la Valle di Albana, lo scoglio Galera e
soprattutto una dirupata scogliera che arriva sino al Tino, solo
impercettibilmente interrotta dai bracci di mare che separano le isole
tra loro e dalla terraferma. Le falesie scendono a precipizio sui mare
con strapiombi che in alcuni punti raggiungono i 250 m, ma l'effetto
spettacolare e accresciuto dalla policromia dovuta all'accostamento di
rocce rosse e bianche, qua e là macchiate dal verde dei cespugli che si
abbarbicano sulle cenge.
Il diverso colore delle falesie deriva dal contatto geologico tra
formazioni diverse della serie toscana che rappresentano i periodi tra
il Retico (oltre 190 M.A.) e l'Oligocene (26 M.A.): i bianchi calcari a
Rhaetavicula contorta e i calcari massicci da levante giungono sino allo
Scoglio Galera, poi, in rapida successione tra lo scoglio suddetto e la
Punta del Persico - nostro punto d'osservazione - i calcari ad angulati,
il rosso ammonitico, i calcari selciferi, le marne a Posidonomya, i
Diaspri, la Maiolica, gli Scisti policromi e infine le Arenarie del
Macigno.
Sulle falesie nidificano uccelli che nel nostro paese diventano
sempre più rari perché sempre più rari sono i posti incontaminati come
quelli che stiamo vedendo: vi si trovano infatti il Falco pellegrino
(Falco peregrinus), il Corvo imperiale (Corvus corax), il Rondone
pallido (Apus pallidus) il Passero solitario (Monticola solitarius) e
diversi altri.
Sulla nostra sinistra, in fondo alla valle, si vede la Casa Boccardi
(proprietà Bertonati) costruita in epoca napoleonica probabilmente su un
antichissimo insediamento. Le terre di Albana, prosperose per la
inusuale grande disponibilità d'acqua sorgiva, furono proprietà del
Convento di S. Venerio dell'Isola del Tino dal 1162-1172 sino
all'avvento di Napoleone; dopo di che vennero confiscate e date per
ricompensa al Capitano Boccardi che aveva servito nell'esercito del
generale corso. Dopo alcuni lustri, tuttavia, in seguito a disavventure
economiche, la proprietà fu messa all'asta e aggiudicata alla famiglia
Bertonati che attualmente tenta di riportare la produttività agricola
agli antichi splendori. La zona di Albana costituisce per legge il
limite orientale dei vigneti per i quali e riconosciuta la Denominazione
di Origine Controllata (D.O.C.) attribuibile ai vini "Cinque Terre" e
"Cinque Terre Sciacchetrà ".
Ancora pochi passi di ripida discesa e si è al mare. Se si è buoni
nuotatori si può raggiungere una spiaggetta proprio sotto il rosso
dirupo che sovrasta lo Scoglio Galera: essa è accessibile solo dal mare.
Si può anche proseguire a ponente lungo gli scogli verso le spiagge
ciottolose di Persico e del Navone risalendo eventualmente dal sentiero
Nº 11 .
CAMPIGLIA -
PUNTA DEL PERSICO
Nº Segnavia: 11
Quote: partenza: 400 m, arrivo: 0
Dislivelli totali: 400 m (discesa)
Lunghezza :1,3 km
Difficoltà: discreta
Tempo di percorrenza: 40 minuti
Caratteristiche: L'itinerario si svolge in discesa, quasi
interamente su una tipica scalinata e dà modo di vedere i caratteri
peculiari della zona di Tramonti.
Dalla piazza di Campiglia, in corrispondenza della cabina
telefonica, si scende presso il ristorante " Lampara" e si prosegue
tra due muri abbelliti da vivaci fioriture. Si attraversa una vasta
zona di vigneti dove le viti sono disposte ora a pergola ed ora
quasi striscianti sui terreno caldo ed asciutto.
Dopo un tratto con lembi di macchia e gruppi di ombrosi alberi di
pino marittimo e leccio, il sentiero gradinato prosegue dolcemente
passando in vicinanza di una parete rocciosa. Sullo sfondo del mare
si vede l'isola del Tino, dal caratteristico profilo triangolare. Il
sentiero passa sulla sinistra di un agglomerato di case, il Chioso,
presso il quale s'estende un oliveto in parte abbandonato. Di qui
passava il sentiero 1c, ormai intransitabile, che ricalcava
un'antica via snodantesi lungo tutta la Riviera di Levante.
Poi, d'improvviso, l'acclività aumenta e si scende per ripidi
tornanti tra le "fasce" coltivate che si fanno sempre più strette,
tanto da dividersi equamente la terra coi muri a secco. Su questi
crescono le Borraccine (Sedum rupestre), la Valeriana rossa (Centranthus
ruber) e cespi dorati di Perpetuini (Helichrysum italicum)
dall'intenso aroma.
A quota 220 si arriva ad una brusca curva, da dove si gode un
panorama ancora più ampio, sia verso levante che verso ponente; un
centinaio di metri più sotto rosseggiano i tetti delle casupole di
Persico, cantinette nelle quali la gente di Biassa e Campiglia usa
trasferirsi l'estate.
Si prosegue sempre per una scalinata strettissima - dove i gradini
non hanno nemmeno lo spazio per un piede -, costruita con massi di
arenaria tra vigne e fasce abbandonate. Le vigne curate si fanno
sempre più rade, ma tralci di vite, ormai inselvatichiti, sono
presenti su piccole fasce sconnesse fin quasi sul mare. La macchia
prende decisamente il sopravvento coi suoi intensi profumi e gli
accostamenti di colore: il giallo delle Ginestre (Spartiumjunceum),
il mutevole verde delle Euforbie (Euphorbia dendroides), il bianco
dei Cisti in fiore ( Cistus salvifolius}. Qua e là gruppi di pini
ergono la loro rada chioma sull'azzurro del mare. Tra le pietre
sconnesse si aggirano lucertole muraiole e può capitare di
osservarvi anche il lungo Biacco (Coluber viridiflavus) che tenta di
nascondersi al nostro passaggio. Sulla sinistra si distacca il
sentiero che va nella Valle di Albana. Poco prima del mare, dove la
scalinata diventa più ripida e disagevole, vi sono delle baracche
multicolori, messe su dai proprietari delle terre soprastanti. E'
questo un fenomeno che si ripete in diversi punti della costa di
Tramonti, arrecando una nota stonata a1 paesaggio, ma che richiama
lo stretto legame della gente col mare.
Dal mare si vedono a ponente le case di Schiara e si può proseguire
lungo gli scogli in quella direzione passando sotto ad imponenti
muri a secco che tentano invano di ostacolare i movimenti franosi,
oppure in direzione opposta collegandosi al sentiero 11a.
Delfino a Tramonti
VALICO DI S. ANTONIO - SCHIARA MARE
Nº Segnavia: 4
Quote: partenza: 511 m, arrivo: 0
Dislivelli totali: 511 m (discesa)
Lunghezza: 2,3 km,
Difficoltà: discreta
Tempo di percorrenza: 1 ora
Caratteristiche: Si tratta di un itinerario che
offre ricchi spunti per osservazioni
naturalistiche e storiche ed ampi panorami.
Dalla graziosa ed antica chiesetta di S. Antonio
Abate, recentemente restaurata, si scende
per una largo strada in mezzo ad un fresco bosco
di pini e castagni, dove la significativa
presenza del ginestrone indica condizioni di
discreta umidità.
Si giunge in un punto dove sul lato destro si
staglia contro il cielo tra gli alberi una
grande pietra conficcata in posizione verticale
e sormontata da una croce di ferro. Si tratta
del Menhir di Tramonti; secondo gli studiosi la
pietra venne trasportata in epoca preistorica da
un altro posto e fissata con cunei in pietra
alla base; successivamente venne
"cristianizzata" con l'apposizione di una croce
di legno sostituita poi con quella in ferro. Da
questa zona proviene anche un altro Menhir,
conservato al Museo di La Spezia.
Di fronte al Menhir vi è una sorta di basso
muro, costruito con lunghi e pesanti lastroni,
utilizzato in passato come "posa", cioè come
posto per posare le ceste cariche d'uva durante
le soste che interrompevano il trasporto a
spalle del raccolto autunnale.
Più oltre vi è un rifugio anch'esso in pietra di
arenaria. I Menhir di Tramonti sono considerati
da alcuni studiosi tra le espressioni più
primitive di quei popoli della Lunigiana che
produssero poi una serie di "statue stele" più o
meno elaborate, ora conservate presso diversi
musei. Secondo altri avrebbero avuto funzioni
calendariali ; pare infatti che il sole nel
solstizio estivo proietti l'ombra del Menhir al
centro della "posa grande". Intorno alti pini
sovrastano individui arborescenti di leccio ed
arbusti della macchia, eriche e corbezzoli
soprattutto.
Subito si scende a destra per un sentiero in
mezzo ad un bosco dove prevalgono i lecci, ma
non mancano roverelle e castagni e persino
qualche sughera. Questa specie è presente in
maggiore abbondanza, subito più a Est, sulla
Costa dei Pozai, raggiungibile attraverso la
strada che abbiamo appena lasciato. Insieme alla
sughera si trova un altro elemento floristico
mediterraneo occidentale di estremo interesse:
il Caglio ellittico (Galium scabrum).
A quota 422, dopo aver incrociato una strada
carreggiabile, c'e una biforcazione; sulla
destra si va a Monesteroli , mentre il nostro
itinerario prosegue a sinistra vicino ad una
casetta in mezzo ai vigneti: Poco dopo si vede
il mare e le Isole della Palmaria e del Tino. Si
scende nuovamente in mezzo ad un ombroso bosco
di lecci e si giunge alla bella Fontana di
Nozzano , costruita durante la presenza dei
soldati napoleonici che nel 1805 sorvegliavano
la costa spezzina. Poiché la sorgente, che un
tempo sgorgava copiosa, e stata captata, resta
solo l'acqua sufficiente per dissetarsi.
Poco dopo si sbuca con una breve salita sui
tornante di una strada asfaltata (che è la
prosecuzione della strada intrapresa all'inizio)
e la si segue in discesa; essa diventa quasi
subito sterrata e poi un semplice sentiero. Si
entra in un'ampia zona a vigneti tenuti
straordinariamente in ordine con bassi muretti
e, qua e là, siepi di erica secca per protezione
dal vento e dalla salsedine. Si tralasciano
alcune diramazioni sulla destra e si comincia a
scendere più ripidamente, sempre in mezzo alle
vigne e al muri a secco, lungo un crinale dal
quale si gode un panorama stupendo sulla costa
verso la Palmaria ed il Tino. Di fronte a noi si
erge lo Scoglio Ferale, alto 20 m sul mare.
Giunti a Schiara passiamo tra le piccole case
disposte a sbalzo sui ripido pendio; per
l'elevata acclività i tetti delle case verso
mare sono addirittura a livello della strada;
davanti all'ingresso ogni casa ha il proprio
orto. Qui si trasferisce la gente di Biassa
durante l'estate fino alla vendemmia. A levante
si osserva, scoscesa sui mare, la Costa del
Persico.
Poco prima delle ultime case si incontra il
bianco Oratorio di S. Antonio, con un minuscolo
sagrato ed una graziosa e squillante campanella.
La scalinata diventa ora ripidissima e pare
scivolare via verso il mare; ancora poche case
ed il paesaggio è ora dominato dalla macchia:
l'Erica, il Leccio e soprattutto l'Euforbia
arborea la fanno da padroni.
Più in basso si scende con difficoltà tra
roccioni e sassi sino al mare sui quale si
distingue sempre bene lo Scoglio Ferale, con una
bianca croce che ricorda la scomparsa del
Tenente di Vascello Luigi Garovaglio ivi
precipitato nel 1911 durante rilievi
idrografici. La marina di Schiara e una bella
spiaggia dove, alla base di banchi di arenarie,
si alternano grossi massi, ciottoli e sabbia
grossolana. Anche qui vi sono alcune baracche
utilizzate dagli abitanti che vengono a pescare
nel mare poco profondo e ricchissimo di pesci.
Delfino a Tramonti
ANTICA MULATTIERA
CAMPIGLIA-ACQUASANTA
Sentiero n°11 del CAI Quota
di partenza 401 m. s.l.m. – Quota di arrivo 102 m s.l.m.
Lunghezza
complessiva 1480 (+1250 asfalto) Tempo di percorrenza 30’ (+15’) circa
Campiglia: un balcone sulla città
Per la maggior parte dei cittadini della
Spezia, Campiglia è il lontano e caratteristico profilo di un fabbricato
e una torre (la chiesa e il campanile di Santa Caterina) sulla dorsale
tra la punta di Coregna e la Castellana.
Per i turisti, un luogo incantevole con
potenzialità tuttora inespresse.
Per gli abitanti un luogo amato e sofferto,
che può ancora essere salvato da una lenta e malinconica decadenza.
Da Campiglia, straordinaria è la doppia
veduta: da una parte è balcone sulla rada della Spezia, dall’altra
spazia oltre la verde discesa dei vigneti, sulla vastità del mare
punteggiato dalle lampare delle barche da pesca.
L’abitato di Campiglia (le prime notizie
risalgono al 981) che attualmente costituisce il più elevato e il più
piccolo dei quartieri della Spezia (mt. 400 sul livello del mare e poco
più di 100 residenti) iniziò a sorgere sul crinale che unisce il monte
Castellana al monte Coregna, ambedue particolarmente impervi, quando lo
scelsero come rifugio pressoché inaccessibile a gruppi di armati alcune
famiglie giunte dal mare, per sfuggire a scorribande piratesche.
Campiglia costituisce infatti uno splendido
osservatorio per potere avvistare naviglio in mare aperto o nelle acque
racchiuse del Golfo: Fu nel X e XVI secolo che le popolazioni del borgo
iniziarono la costruzione dei muri a secco, che ancora oggi
costituiscono la più gigantesca opera civile che connota come
incomparabile il paesaggio di tutto il promontorio.
Fa parte della storia sociale di Campiglia il
fatto che i suoi abitanti, che all’ inizio del 1900, raggiungevano quasi
le 500 unità, appartenessero tutti a due soli casati: quello dei Canese
e quello degli Sturlese.
Lungo il sentiero sono situati alcuni pannelli
con la descrizione naturalistica degli ambienti attraversati.
Descrizione del
percorso:
La mulattiera
costruita alla fine dell’800 era l’unico collegamento tra il paese e la
città. A circa 300 metri una via ancora più antica distacca dalla
medesima e conduce all’abitato di Coregna e quindi a La Spezia. Il
percorso è costituito da ciottoli in arenaria intervallati da robusti
cordoni dello stesso materiale, da tratti rettilinei culminanti in ampi
tornanti allo scopo di addolcire il cammino lungo il crinale.
Abbandonato il paese dopo breve incedere si attraversa la sterrata che
conduceva alle cave di Coregna, quindi immersi in una fitta vegetazione
di pini e castagni, gradualmente si scende di quota lambendo un vecchio
sentiero che adduceva alla ormai abbandonata sorgente di Caporacca, ove
si riforniva il paese, nei pressi di un piccolo ricovero dalle
intemperie con annessa posa per i carichi trasportati. Proseguendo dopo
aver attraversato un vecchio ponte ad arco in pietra locale, la
mulattiera, grazie ad un ponticello attraversa il torrente Caporacca e
quindi sovrastando la galleria SNAM Panigaglia - Caporacca termina sulla
strada carrozzabile, realizzata anticamente quale collegamento al forte
napoleonico della Castellana, ed attualmente unico collegamento viario
del borgo di Campiglia con la città.
Novembre 9th, 2009 | Postato in
Liguria,
Luoghi
La località scelta oggi dalla redazione di
Fuoridalcaos è Campiglia,
frazione del Comune di La Spezia.
Per la maggior parte dei cittadini della Spezia, Campiglia è il lontano
e caratteristico profilo di un fabbricato e una torre (la chiesa e il
campanile di Santa Caterina) sulla dorsale di Coregna e la Castellana.
Per i turisti un luogo incantevole con potenzialità tuttora inespresse.
Per gli abitanti un luogo amato e sofferto, che può ancora essere
salvato da una lenta e malinconica decadenza.
Punto di partenza o di arrivo per escursioni
con vari livelli di difficoltà, Campiglia può essere anche un
piacevolissimo luogo di soggiorno, per la costante brezza marina che
rende il clima temperato per gran parte dell’anno, la presenza di
salubri pinete a pochi passi dall’abitato e per le attrezzature di
accoglienza di un ottimo livello qualitativo.
Da Campiglia si può godere di una straordinaria doppia veduta: da
una parte è balcone sulla rada della Spezia, dall’altra spazia oltre la
verde discesa dei vigneti, sulla vastità del mare punteggiato dalle
lampare delle barche da pesca.
L’abitato di Campiglia (le prime notizie risalgono al 981), che adesso
costituisce il più elevato e piccolo quartiere di La Spezia (mt.
400 sul livello del mare e poco più di 100 residenti) iniziò a sorgere
sul crinale che unisce il monte Castellana al monte Coregna, ambedue
particolarmente impervi, quando lo scelsero come rifugio pressocchè
inaccessibile a gruppi di armati alcune famiglie giunte dal mare, per
sfuggire a scorribande piratesche.
Campiglia costituisce infatti uno splendido
osservatorio per potere avvistare naviglio in mare aperto o nelle acque
racchiuse del Golfo. Fu nel X e XVI secolo che le popolazioni del borgo
iniziarono la costruzione dei muri a secco, che ancora oggi
costituiscono la più gigantesca opera civile che connota come
incomparabile il paesaggio di tutto il promontorio.
Fa parte della storia sociale di Campiglia il fatto che i suoi abitanti
ad inizio 1900 raggiungevano quasi le 500 unita, appartenessero tutti a
due soli casati: quello dei Canese e quello degli Sturlese.
Nella piazza della chiesa di Campiglia, di fronte all’alto campanile
ottocentesco, si incontrano e si diramano i principali percorsi pedonali
del territorio. Coloro che amano percorre a piedi i sentieri delle
Cinque Terre e di Portovenere spesso preferiscono partire da Campiglia,
anche perché essa è uno dei pochi punti di accesso che si trovi “in
quota” e non obbliga quindi gli escursionisti ad un tratto iniziale in
ripida salita.
Campiglia si allunga proprio lungo il percorso di crinale (alt. 4/500
m.) a circa 1h. e ½ di cammino da Portovenere e 2 h. e ½ da Riomaggiore.
Da Campiglia inoltre si può raggiungere in breve tempo l’antica via
Provinciale, già in stato di completo degrado e oggi in gran parte
recuperata, che più in basso (alt. 250 m. circa), attraversa il piccolo
nucleo del Chioso e collega i terreni terrazzati di Tramonti di
Campiglia e di Biassa con quelli di Albana (verso sud) e di
Schiara-Monasteroli (a nord). Scendendo ancora si incontrano le isolate
località di Navone e del Persico i cui pochi vigneti ancora coltivati
danno l’uva per il famoso vino Rinforzato (detto anche Sciacchetrà),
esse sovrastano un ripido dirupo attraverso cui si raggiungono con
qualche difficoltà due splendide spiagge circondate da archi naturali di
scogliere che formano delle piccole piscine naturali dove il fondale è
particolarmente ricco di fauna e flora marina.
Dal centro del paese parte l’antica mulattiera Campiglia -
Acquasanta. La mulattiera fu costruita alla fine dell’800 ed
era l’unico collegamento tra il paese e la città. A circa 300 metri una
via ancora più antica distacca dalla medesima e conduce all’abitato di
Coregna e quindi a La Spezia. Il percorso dell’antica mulattiera è
costituito da ciottoli in arenaria intervallati da robusti cordoni dello
stesso materiale, da tratti rettilinei culminanti in ampi tornanti allo
scopo di addolcire il cammino lungo il crinale. Abbandonato il paese
dopo breve incedere si attraversa la sterrata che conduceva alle cave di
Coregna, quindi immersi in una fitta vegetazione di pini e castagni,
gradualmente si scende di quota lambendo un vecchio sentiero che
adduceva alla ormai abbandonata sorgente di Caporacca, ove si riforniva
il paese, nei pressi di un piccolo ricovero dalle intemperie con annessa
posa per i carichi trasportati. Proseguendo dopo aver attraversato un
vecchio ponte ad arco in pietra locale, la mulattiera, grazie ad un
ponticello attraversa il torrente Caporacca e quindi sovrastando la
galleria SNAM Panigaglia-Caporacca termina nella strada carrozzabile,
realizzata anticamente quale collegamento al forte napoleonico della
Castellana, ed attualmente unico collegamento viario del borgo di
Campiglia con la città.
Non molto
distante (30 m.) al Muzzerone sul sentiero n. 1 verso Portovenere è
attrezzata una suggestiva palestra di roccia a picco sul mare mentre e a
pochi minuti lungo la carrozzabile un centro equestre consente di
effettuare facili escursioni nel folto bosco della Castellana per
raggiungere le cave di marmo portoro ormai abbandonate, o in altri più
impegnativi itinerari.
Lungo il tracciato del sentiero di crinale che collega Porto Venere con
le Cinque Terre, non lontano dalla chiesa di Santa Caterina di Campiglia,
si incontra una possente costruzione circolare in pietra caratterizzata
da una scalea esterna che avvolgendosi a semicerchio porta al piano
superiore.
Ritenuto da alcuni un torrione di avvistamento, simile a quelli che la
repubblica di Genova aveva alzato sulle coste della Corsica, la
costruzione è in realtà di un edificio adibito ad accogliere le
attrezzature (pale, macchinari) di un mulino a vento. La scarsità di
fiumi e torrenti di una certa portata ha spinto precocemente gli
abitanti di questa zona della Liguria a trovare forze motrici
alternative all’acqua.
Uno dei mulini a vento liguri è quello di Campiglia che per la tipologia
architettonica è stato datato al XVII secolo e seppure il regime dei
vent