La mia vita con Gaspare

10-06-12

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LA MIA VITA CON GASPARE

 

Di  Iolanda Sturlese

 

Autunno 1986

 

  Sfogliando un vecchio album di fotografie che rievocano tanti cari ricordi di vita, vissuta con mio marito, deceduto lo scorso anno all’età di 89 anni; sento il bisogno di ricordarlo affettuosamente, e parlare di lui. Qualche immagine lo mostra in abiti militari, intento allo svolgimento del lavoro sulle varie navi, presso le quali era in forza. Altre in abiti borghesi mentre tiene per mano le nostre due bimbe, e altre in costume da bagno con figliole, e con me sulle spiagge di Tripoli, di Gaeta e di La Spezia. Un album particolare tenuto da Gaspare con tanta cura, raccoglie le foto che lo ritraggono a Massaua al fianco di soldati dalla pelle nera, suoi dipendenti. Anche la ferrovia Asmara – Massaua, è un capolavoro importante costruito intelligentemente da ingegneri italiani che Gaspare ammirava, e volle testimoniare con bellissime immagini fotografiche. La linea ferroviaria fra le due città è costruita su alture che si trovano a 2000 metri sul livello del mare. Molte fotografie delle navi italiane e cacciatorpediniere, sulle quali Gaspare, aveva navigato, lavorato, combattuto, durante lo svolgersi di quattro guerre. La prima Guerra Mondiale 1915-1918.  La Guerra di Spagna 1926.  La Guerra di Abissinia 1937-1938.   La seconda Guerra Mondiale 1940-1945.  A tutte egli aveva preso parte attiva, ottenendo anche elogi e riconoscimenti, comprese medaglie al valor militare.  Per due volte decorato cavaliere. Cavaliere della corona d’Italia, e Cavaliere di Vittorio Veneto. Come moglie di Gaspare, posso asserire di essermi realizzata felicemente e completamente in tutte quelle gioie, e soddisfazioni che una donna desidera dalla vita. Fanno testimonianza  delle sue grandi qualità di uomo, i documenti che la Marina Militare gli consegnò, al momento del congedo assoluto unitamente al foglio matricolare, dai quali si legge:

Rapporto informativo

Sott’ordine al capo servizio Genio Navale del Comando Superiore delle Siluranti, particolarmente destinato a dirigere le squadre lavori, che eseguono riparazioni alle unità dipendenti.  Lodevolmente

 

Giudizio Complessivo 

Ufficiale del (C.R.E.M.) che per eccezionali qualità di carattere militare e professionali riesce ad essere di particolare rendimento, molto zelante nel disimpegno degli incarichi a lui affidati. Ha sempre svolto con intelligenza e senso pratico, malgrado le difficoltà contingenti relative a mezzi materiali. Ottimo collaboratore, sereno, cura molto i propri dipendenti dai quali è molto benvoluto. Per il complesso delle sue qualità e per il suo rendimento al lavoro, lo si ritiene idoneo al grado superiore; e meritevole di particolare considerazione.

OTTIMO

 

Qualità militari e professionali

 

Ha molta ascendenza sui dipendenti. Molto stimato dai superiori e inferiori. Dotato di molto amore alla professione, spirito di iniziativa.

 

Qualità Morali

Dotato di alto senso del Dovere, Dignità personale, e costanza nell’applicazione.

 

Qualità intellettuali

Intelligenza pronta. Molto buon senso, e prontezza di giudizio

 

Qualità fisiche

OTTIME

 

Collegato al congedo ed al suo foglio matricolare, gli fu consegnato un foglio contenente un elogio dell’allora Regia Marina Militare in data 14 Novembre 1943, che riporto integralmente:

Regia Marina – Ministero della Marina. Ufficio dei servizi militari di Taranto.

Argomento:

 

ELOGIO – Al tenente Gaspare Garavaglia. Dalla relazione in merito alla collisione della Torpediniera Cosenz, avvenuta il 25 Settembre c.a. ed al combattimento con aerei nemici, che ha avuto luogo il giorno successivo, ho rilevato il vostro ottimo comportamento, lo spirito aggressivo e l’attaccamento al dovere che avete dimostrato in quella circostanza. Vi rivolgo pertanto un vivo elogio .

Il Ministro della Marina

B. Cornedani

Nell’occasione dell’80° compleanno di Gaspare ricevemmo da Roma dal Ministero della Difesa, il seguente biglietto di auguri:

Caro Garavaglia, in occasione del Suo  ottantesimo compleanno, che ricorrerà il 4 Marzo 1976, a nome della Marina mi è gradito porgerLe fervidi voti augurali. Noi la ricordiamo sempre con animo grato come pure l’opera da Lei svolta per il bene, e le migliori fortune della Marina. Cordiali saluti

Torrisi

Ammiraglio di divisione  Giovanni Torrisi. Roma 18/2/1976.

  

 

                                                              CAPITOLO      1°

 

Gaspare era nato a Fara, un paese della provincia di Novara, dove la distesa delle risaie termina e lascia spazio alle colline coltivate a vigneti. Il paese è quasi agricolo e solcato da un grosso corso d’acqua di nome “Mora”. Questo nome gli venne dato, perchè il suddetto canalone, fu ideato e fatto costruire da Ludovico il Moro, quando era Duca di Milano, circa nella metà del  1400. Per Fara la Mara rappresentava il lavatoio pubblico, ove le donne sprezzanti il freddo invernale ed il calore estivo si recavano a lavare il bucato. Con le acque della Mora si annaffiavano le campagne, e si abbeveravano le mucche ed i cavalli; animali usati in quei tempi lontani, grandi aiutanti dell’uomo: in configurazione da “tiro” e da “soma”. Anche le mucche venivano munite di giogo, ed eccettuati i mesi della loro gestazione collaboravano ai duri lavori dei campi. La bellissima chiesa, con le reliquie di S. Damiano, è al centro del paese, e i parrocchiani hanno per essa tanta cura per renderla sempre più degna del Santo. Festeggiano solennemente il Santo protettore del loro paese, nel Luglio di ogni anno, portando la statua in processione. Creano in quell’occasione luminarie in ogni angolo di strada, e le donne fanno a gara nel  disporre ai balconi delle loro case le coperte più belle e (da vedere). Preparano in questa ricorrenza persino fontane artificiali, e vengono impegnate anche bande musicali, che si trasferiscono da Novara, dietro congruo pagamento in denaro. I devoti del Santo, si riuniscono sotto il porticato della chiesa, nel sagrato, per partecipare alle offerte. Sfidano il freddo, a volte intenso, poiché questa seconda cerimonia  avviene in febbraio e si protrae anche un’intera giornata. Le offerte sono spontanee, e consistono in uve conservate gelosamente per vari mesi, in pollame, salumi e vini prelibati del posto. Ogni cosa viene poi venduta all’asta ai parrocchiani, che fanno a gara per offrire cifre sempre più elevate. Col ricavato vengono poi eseguiti lavori di restauro alla chiesa ed acquistati oggetti per arredare l’ambiente sacro, come tendami damascati, per impreziosire il luogo di culto, nella ricorrenza del Santo Natale di ogni anno. Con questa formula di autofinanziamento, è stato acquistato l’organo, e rinnovato l’altar maggiore con marmi pregiati di varie colorazioni. Fara è raggiungibile con il treno, e la locale stazione ferroviaria  è tenuta in grande considerazione. Lo dimostrano le belle statuette in cemento di cui è ornata, e dall’abbondante fioritura estiva di dalie, gigli, zinnie con contorno di siepe di roselline in primavera, e di biancospino profumato. Il paese dispone di due banche per custodire il denaro abbastanza considerevole guadagnato da questi instancabili lavoratori della terra. Le scuole elementari sono in un ampio e decoroso palazzo. Funzionano alberghi, ristoranti, e molti altri negozi per rispondere ai bisogni degli abitanti e dei commercianti che devono pernottare durante il viaggio di lavoro. I ragazzi che frequentano le scuole medie si recano a Novara per mezzo del treno, che a ore mattutine e serali transita da Fara, per procedere fino a Varallo Sesia, punto terminale della linea ferrata. Lo spostamento da Fara a Novara, ora naturalmente è migliorato poiché ogni famiglia possiede un’automobile, o una motocicletta, esistono pure linee di autobus: i tempi sono cambiati in meglio. Oggi i commercianti viaggiano con grandi automezzi, e non devono più pernottare per rifocillarsi; né per fare riposare i cavalli. Il progresso ha dato i suoi frutti. Quando Gaspare era bambino, all’inizio del secolo, la vita era meno comoda di oggi, ed egli per frequentare le scuole medie (allora denominate scuole tecniche) doveva servirsi del treno. Sapeva anche usare con perizia  la bicicletta, ma gli inverni in quella località attorniata da rilevi alpini, erano freddi, e le strade coperte di neve per vari mesi dell’anno. Gaspare era un bambino intelligente, come veniva giudicato dai suoi insegnanti. Sveglio e molto attento alle lezioni scolastiche, ma fuori della scuola giocherellava sempre alla ricerca dei nidi. Sapeva arrampicarsi così come uno scoiattolo sulle alte piante di quercia e di acacia che costeggiavano la Mora per vari chilometri. In quel corpo tanto irrequieto e giocherellone, era il seme del germoglio di un cuore, che in tutta la sua esistenza di uomo e di soldato seppe dare i frutti  veri dell’amore per il suo prossimo, per la famiglia e per la sua Patria. Il padre di Gaspare, Carlo era impiegato delle ferrovie dello stato, sognava per il figlio un futuro da capo stazione con il capo coperto dal berretto rosso com’è di consuetudine, ed in mano la paletta nell’atteggiamento del segnale ai treni, per l’arrivo e la partenza. Lo sognava però in una stazione più importante di quella di Fara; in una grande città. Confidava questi suoi sogni alla moglie Angela, che sorridente e taciturna condivideva le opinioni che il marito le esponeva. Gaspare però non la pensava allo stesso modo. Quel cuoricino di scolaretto, che tante volte si era commosso fino alle lacrime, quando l’insegnante della classe elementare leggeva brani del libro Cuore, ora stava trasformandosi, e quella tenerezza era divenuta coraggio, voglia di vivere, di evadere per conoscere nuovi luoghi, nuovi paesi, nuove razze. I romanzi di Salgari, lo avevano invogliato alla conoscenza dell’esotico. I viaggi, e il mare lo attiravano. A 14 anni di età, aveva saputo costruirsi con le sue proprie mani la bicicletta che, usava orgoglioso per compiere gare ciclistiche con gli amici. Federico, Enrico e Carlo, erano I tre amici che gareggiavano con Gaspare pedalando con grande impegno sui lunghi viali che uniscono Fara ad altri paesi distanti alcuni chilometri. Le ragazze coetanee li incoraggiavano ed al traguardo, e come in ogni adolescente, anche in esii si pronunciava quel sentimento pulito e naturale dell’amore. Gaspare era il preferito. La sorella di Carlo, in special modo sapeva invogliare Gaspare a raggiungere la vittoria, in quei tempi il premio finale poteva consistere in un gelato o in una scatoletta di caramelle alla liquirizia. Anche Gaspare sapeva rivolgere a Ernesta lo sguardo pulito e sorridente, che voleva dire solo simpatia, amore, tenerezza. In quei tempi l’amore veniva esternato con vero riserbo.  L’abbraccio in pubblico sarebbe stato giudicato peccaminoso.

 

                                                           CAPITOLO 2°

 

A sedici anni Gaspare, volle realizzare il sogno che accarezzava da tempo, per andare incontro a quell’ignoto riservato a tutti i mortali. I genitori ne furono veramente stupiti, ed anche un po’ dispiaciuti, per il loro sogno infranto causato dal figlio. Nel 1914 si arruolò nella Regia Marina Militare, destinato al Dipartimento di La  Spezia, e dopo le prime rituali verifiche dei documenti per l’accettazione, fu vestito con la divisa di semplice marinaio, e destinato alla scuola  militare di Venezia, settore meccanica. Questa scuola era, ed  è tuttora di grande importanza  per la preparazione dei futuri macchinisti che devono imparare a conoscere alla perfezione i motori delle navi, e tutte le varie parti che le costituiscono. Al termine di detta scuola, gli allievi devono saper guidare la nave in ogni evento. In pace, ed in guerra. I programmi della scuola meccanici, non si limitano esclusivamente alla conoscenza della meccanica, e dei motori, ma comprendono anche lo studio delle materie letterarie e della matematica. I logaritmi, la radice quadrata e cubica devono essere risolti ed usati con la massima sicurezza e sollecitudine, dai futuri uomini di mare. La frequenza alla scuola meccanici era terminata per Gaspare. Era giunto il momento di poter mettere in pratica gli insegnamenti ricevuti. In quell’atmosfera un po’ riscaldata, politicamente, gli eventi precipitarono. Gli italiani sentivano il bisogno di cacciare gli Austriaci dal Veneto e dalla Costa Dalmata. Gli interventisti, sobillavano da ogni angolo d’Italia, di unirsi per iniziare la rivolta, e l’inizio non tardò a giungere. La goccia che fece traboccare il vaso fu l’uccisione del principe Ferdinando Francesco, e di sua moglie, a Sarajevo il 26 Giugno 1914, eredi al trono d’Austria. L’Italia faceva parte della Triplice Alleanza, e firmando tale trattato, si era obbligata a non dare aiuti alla Serbia, che dall’Austria era mal tollerata. I roventi trattati dell’Austria con la Russia e la Serbia, la tracotanza della  Germania, le fatiche diplomatiche della Francia e della Gran Bretagna, servirono a nulla. Venne così dichiarata dall’Italia la Guerra all’Austria. La Germania dichiarò la Guerra alla Serbia, invase il Belgio, e distrusse completamente l’esercito Serbo. L’Italia “ufficialmente” avrebbe dovuto rimanere neutrale, ed invece animata dal sentimento di libertà per il suo popolo, corse immediatamente in aiuto alla Serbia. La Marina Militare non tardò ad inviare le sue navi che facevano spola tra Brindisi e Valona, e a tutta la costa dalmata. Vi furono battaglie durissime, che seppero strappare le terre italiane, da tanti anni soggiogate dall’Austria. In questa occasione Gaspare prese imbarco nel cacciatorpediniere “Ardito” e seppe svolgere da vero italiano il compito affidatogli. La Marina Italiana si coprì di gloria  in parecchie azioni di attacco al nemico. Tutte le forze armate italiane furono destinate immediatamente, presso i posti di commando dai quali erano stati cacciati i nemici. A Trento, Trieste, Zara, Pola ed in una vasta zona della Yugoslavia. La Guerra 1915 – 1918 finì il 4 Novembre lasciando sui campi di battaglia 600.000 morti (così parlano le statistiche). L’Italia era libera e poteva finalmente vivere guidata dalle sue leggi. Assaporava la libertà, che è il dono più bello che l’uomo possa vantare.

 

                                                                   CAPITOLO 3º

 

La Marina Militare ebbe destinazioni nelle colonie africane conquistate in precedenza da gloriosi Comandanti italiani. Gaspare fu destinato ad una colonia Somala: a Massaua, e vi rimase per cinque anni. La nave che lo aveva portato a Massaua era la “Regia Nave Alula”. Viveva a bordo della nave Alula, completa di tutto l’equipaggio. Nel 1925 Gaspare rientrò in Italia destinato all’Arsenale Militare di La Spezia, presso l’officina militare.

Il suo compito consisteva nel sorvegliare e controllare ogni pezzo che veniva costruito da operai civili, specialisti in materia.  Motori e pezzi di ricambio. In quei tempi ormai lontani, la vita era molto disagiata nelle colonie. L’alimentazione era costituita in prevalenza da cibi conservati, mancava la verdura e tanti altri cibi, indispensabili per una alimentazione bilanciata e completa, per la conservazione della buona salute. Altro fattore nemico della salute, era il clima torrido; caldissimo in piena estate e in pieno giorno, e freddo umido durante la notte. I giovani, sani e forti che avevano lasciato l’Italia per la colonia, rientravano in patria con qualche disturbo. Non si trattava di gravi malattie, ma difficoltà riferite all’apparato respiratorio, o digestivo. Gaspare, a sua volta, fu colpito da gastrica, e fortunatamente ben presto si riprese. Fu indispensabile un’alimentazione adeguata ai suoi succhi gastrici  compromessi. Per questa ragione, dopo essere stato cliente di molti punti di ristoro della città, divenne cliente del ristorante gestito da mia madre insieme alle figlie. “Nei ristoranti ove sono stato cliente fino ad oggi, non mi trovavo”, disse Gaspare, quando entrò per la prima volta nel nostro. “ Mi servivano dei grandi piatti di pasta asciutta condita con soffritti e grassi, e mi davano carni rosse ma, indigeste per il mio stomaco. Tutti cibi di ottimo gusto ed appetitosi, che in passato facevano parte della mia normale alimentazione, ma ora dovevo rinunciarvi. Il guaio è che, non avendo qui i miei genitori, non saprei come risolvere il problema della mia difficile digestione”. Pregò mia madre di preparargli i cibi adatti, per un sua giusta alimentazione, anche a costo di spendere di più della retta che veniva praticata agli altri clienti. Mia madre era una donna molto comprensiva e con il sentimento che solo le madri possiedono, prese a cuore la necessità che aveva il nuovo cliente. Malgrado il grande lavoro che richiedeva il ristorante, prese sotto l’ala quel povero ragazzo sofferente. “Ho anch’io sette figli, disse mia madre, e se un giorno qualcuno di loro necessitasse urgentemente di essere curato, sarei grata a quella persona che si prestasse in aiuto” Tanto io che le mie sorelle, lo giudicavamo un intralcio al lavoro normale, poiché la preparazione dei cibi diversi dai soliti richiedeva del tempo aggiuntivo. Inoltre ritenevamo che questo nuovo cliente fosse affetto da tubercolosi polmonare o gastrica infettiva. Lo servivamo anche con ritardo, con la speranza di poterlo allontanare. Queste nostre considerazioni, erano in parte giustificate (tantopiù che non eravamo all’altezza di poter giudicare un malato). La sua magrezza, ed il pallore cadaverico del viso ci avevano impressionato. In quel periodo infieriva in ogni angolo d’Italia l’epidemia micidiale chiamata “Spagnola”. Dal 1918 al 1925 questa malattia, consistente in un’infezione alle vie polmonari, aveva falciato oltre 20.000 persone (così parlavano le statistiche). In quei tempi non esistevano gli antibiotici e neppure i sulfamidici. Quel male distruggeva intere famiglie. Fortunatamente la scienza medica riuscì in seguito a debellare questo morbo pauroso usando le medicine scoperte, ed anche chirurgicamente, asportando parte del polmone contaminato. Oggi abbiamo un altro male pauroso che uccide l’uomo: “Il Cancro”. Quando esso si manifesta, difficilmente può essere definitivamente estirpato, ed il malato il più delle volte deve soccombere. Fortunatamente Gaspare riuscì ben presto a riprendersi da quello stato. L’attenzione e l’aiuto nella giusta alimentazione, e la somministrazione di ricostituenti, gli restituirono la salute di un tempo. Mia madre fu felicissima di aver contribuito a ridare la salute e la forza, a quel povero cliente due anni prima ammalato ed avvilito.

 

                                                                   CAPITOLO  4º

 

Il regolamento militare permetteva ai graduati di poter alloggiare fuori dell’Arsenale. Gaspare non aveva alla Spezia nessun parente. I suoi genitori anziani risiedevano a Fara. Prese alloggio in camera ammobiliata per trascorrervi la notte. Naturalmente per legge, ogni graduato o marinaio, era soggetto ad un regolamento, che doveva rispettare. In caso di chiamata urgente, anche nella notte, dovevano presentarsi immediatamente al commando marina. I graduati entravano in Arsenale al mattino, e all’ora del pranzo era loro concessa l’uscita. Rientravano nelle prime ore del pomeriggio ed all’ora che gli operai sospendevano i lavori anche i graduati potevano lasciare l’Arsenale. Gaspare aveva allora il grado, o per meglio dire, la qualifica di capo meccanico di  1ª Classe. I miei genitori, proprietari terrieri, in una collina dei dintorni di La Spezia, vi gestivano anche un albergo ristorante. Il nome del paese è Campiglia, ed i terreni sono situati in zona esposta al mare e coltivati a viti con sistemazione e terrazzo. Questa luminosa collina, geograficamente, si potrebbe considerare come una continuazione delle famose Cinque Terre. Dico famose perchè il vino sopraffino che in esse viene prodotto, fa lustro nelle più belle vetrine delle aziende vinicole italiane, per il suo grado alcolico elevato e per la squisitezza del gusto. Papà e mamma erano molto affezionati alla numerosa famiglia che avevano creata, e si adoperarono molto per dare ad essa un avvenire sereno, meno faticoso e travagliato di quello che avevano dovuto affrontare personalmente. “Fra i nostri sette figli, qualcuno potrebbe avere tendenza a continuare questo tipo di attività”, dicevano.” Creiamo un secondo ristorante, ma questa volta in città. Sappiamo per esperienza quanto sia redditizio questo lavoro, da compensare i sacrifici e la fatica richiesta.”  Mio padre  rimase a Campiglia con i due figli; maschio e femmina. Era compito suo la sorveglianza per la lavorazione dei vigneti e delle persone che lavoravano a giornata alle sue dipendenze. All’andazzo dell’albergo ristorante pensava la figlia Ines con l’aiuto di una donna di servizio per i lavori più umili e pesanti.. Mia madre si trasferì a La Spezia. Irma, la sorella maggiore, diplomata maestra di scuola elementare, rientrava a La Spezia ogni quindici giorni. Aveva la cattedra di insegnante a Corniglia, paese delle Cinque Terre. Io frequentavo l’ultimo anno dell’Istituto Magistrale. Le altre due sorelle erano in età adolescenziale.

Loro aiutavano la mamma nella conduzione del ristorante, caffé, birreria. Mario, il primogenito della numerosa nidiata, preferì prendere la via del mare. Conosceva le lingue: inglese, francese, spagnolo. Non profondamente, ma quel tanto da poter interloquire con con i viaggiatori che si spostavano dall’Argentina ed andavano in Oriente per realizzare i loro commerci. Era capo cameriere sui famosi transatlantici di allora. Dico di allora, perchè in quei tempi non esistevano gli aerei ed i ricchi proprietari dell’America del Sud e  del centro, viaggiavano senza badare a spese sui transatlantici di lusso. L’ubicazione del ristorante di La Spezia era positivamente commerciale. Vicino all’entrata dell’Arsenale militare, al palazzo municipale, alla prefettura, a due banche: alcuni dipendenti di tali strutture potevano permettersi il pranzo e la cena al ristorante. Un cliente del nostro ristorante, avvocato di professione, aveva lo studio nella palazzina attigua. Ottimo cliente che spesso consumava i pasti con altre persone a lui collegate per ragioni di lavoro. L’avvocato era scapolo, siciliano, la sua famiglia di origine risiedeva in Sicilia. Spesso l’avvocato si trovava in difficoltà per la mancanza della segretaria, che gli era indispensabile. Fra le varie ragazze che avevano svolto, nel suo studio, il lavoro di impiegate – segretarie, l’ultima assunta, secondo il professionista era la più apprezzabile e intelligente. Si licenziò dallo studio legale perchè convolò a nozze. L’avvocato quasi ogni giorno doveva recarsi in pretura o in corte d’assise, per discutere su processi, che vedevano coinvolti suoi clienti. La sua assenza dallo studio era quasi sempre in mattinata. Rientrava a mezzogiorno, o alle 13,30. La segretaria aveva l’incarico di ricevere i vari clienti, e fissava loro gli appuntamenti con il professionista. Qualcuno veniva per chiedere consigli su problemi legali, cui la stessa segretaria avrebbe sputo rispondere. Doveva inoltre scrivere lettere ai clienti per sollecitare il pagamento di parcelle non ancora saldate. Suo compito era quello di sapersi destreggiare con la macchina da scrivere, tenere il  registro delle telefonate, con le varie richieste dei clienti, senza trascurare le date. L’avvocato pregò mia madre di mandarmi nel suo ufficio, per un breve periodo di tempo, almeno fino al giorno in cui avesse trovata la nuova impiegata. Tanto più ’’egli disse che essendo il suo studio vicino al ristorante, no vi sarebbero stati problemi di tempo per recarvisi. L’avvocato si rammaricava, perchè rimanendo chiuso lo studio, per mezza giornata, perdeva parte dei clienti. “ La sua figliola saprebbe svolgere questo lavoro” disse, “ perchè è istruita, e sa anche usare la macchina da scrivere”. Inutile dire che io fui felicissima di andare nello studio dell’avvocato, tantopiù che nelle ore in cui non dovevo badare ai clienti ed al lavoro, potevo dedicarmi alle lezioni scolastiche. Inoltre essendo la prima volta che facevo l’impiegata, mi sentivo un pò più importante del solito. Il primo stipendio mensile favoloso fu di lire 40. Dopo due mesi di ricerche finalmente arrivò la nuova segretaria. L’avvocato non mancò di elogiarmi, per la precisione che avevo saputo impegnare in quel lavoro, per me nuovo e potrei dire improvvisato.

 

                                                               CAPITOLO  5 °

 

Annessa al salone del ristorante, ove venivano serviti i pasti, vi era una piccola sala che veniva pure utilizzata da ripostiglio. Appoggiato ad una parete, uno scaffale ove la mamma  teneva i vari rifornimenti di generi alimentari come pasta, riso, olio di oliva, scatole di pomodori pelati, scatolette di tonno, e tutta la biancheria necessaria alla gestione del ristorante. L’arredamento della piccola sala era sobrio, e abbastanza ridotto all’essenziale. Nel centro un tavolo quadrato di faggio antico, con due capaci tiretti contenenti libri e registri in uno; nell’altro i miei libri scolastici. La cartella della sorellina che frequentava la 5ª elementare pendeva da un chiodo infisso nel muro. Quattro sedie impagliate intorno al tavolo. Dal centro del soffitto, molto alto, pendeva una lampada a saliscendi, con luce fortissima che illuminava ogni cosa. La stanza, un po' ripostiglio, e un po' saletta era il mio ambiente preferito per dedicarmi allo studio, nelle ore in cui il ristorante era silenzioso. Voglio dire le ore che separavano il pranzo dalla cena. I clienti del ristorante non entravano nella piccola sala. Erano clienti di una certa levatura morale e civile, che sapevano comportarsi con rispetto verso di noi, altrettanto osservanti di tutte le regole indispensabili per la serena convivenza fra persone civili.

Un pomeriggio mentre stavo ripassando alcune regole di fisica, che trattavano i primi elementi dei vasi comunicanti, delle macchine elettriche e dei motori, una voce gentile chiese se era permesso entrare in quella saletta, così scrupolosamente riservata alle proprietarie. Chi chiedeva era Gaspare, che gli altri commensali chiamavano maresciallo. Rimasi un attimo ad osservare il maresciallo chiedendogli il perchè di questa sua presenza fuori ora. L’interessato mi disse di scusare la sua intromissione, in quanto nessuno lo aveva convocato; ma sentendo parlare di quelle macchine tanto perfette, e di quei motori, così approssimativamente, come facevo io, aveva sentito istintivamente il dovere di intervenire, spiegando il vero principio di funzionamento dei dispositivi. “Vede signorina”, mi disse, “lei non spiega affatto il vero funzionamento, bensì ripete a memoria delle definizioni, che sono scritte nel testo”. Infatti il maresciallo aveva ragione, ed io imparai la lezione e lo ringraziai dell’interessamento. Domandai la ragione del suo arrivo al ristorante ad un orario così insolito. L’ora di cena era ancora lontana. “Passavo da queste parti, mi rispose, e sono entrato perché avevo voglia di sorbirmi un caffé e sono entrato. Naturalmente lei studia a voce alta come facevo io durante il periodo dei corsi. E’ un ottimo metodo per meglio ricordare. Perciò ho potuto percepire la relazione sui motori e sulle macchine elettriche. Non ho potuto fare a meno di intromettermi, per chiarire l’argomento. Quando frequentavo la scuola meccanici a Venezia, uno degli insegnanti, molto esigente in questo particolare settore, soleva affermare, a voce alta : Quando uscirete da questa scuola, dovrete essere in grado di guidare le navi, che hanno i motori, perché sono proprio i motori che fanno muovere il tutto” Era pronto a punirci, se non avessimo studiato con impegno. Erano punizioni lievi, come il divieto di libera uscita serale”. Dopo questo colloquio sui motori, rimasi un po’ stupita, circa l’interessamento sulla mia cultura, mostrato da un uomo da me conosciuto qualche mese prima e nelle vesti di cliente, al momento pensai:   "Ma è proprio la mia cultura, il mio sapere, che interessa a quest’uomo, o è la mia persona nella sua totalità ? ” Non mi sbagliavo, perchè Gaspare si stava innamorando di me. Non lo nego, che quel suo primo intervento a scopo culturale mi fece molto piacere. Anch’io cominciai a sentire verso di lui quella reciproca simpatia che precede l’innamoramento di due persone di diverso sesso. Gaspare era fornito di tutti quei requisiti che fanno emergere, per essere apprezzato. Giovane, di bell’aspetto, alto di statura, snello nella persona, comportamento disinvolto e signorile;  occhi neri, molto espressivi, carnato chiaro e capelli nerissimi ondulati naturalmente. Sempre sorridente e gentilissimo. La divisa che indossava completava la sua personalità. Nell’estate la divisa bianchissima in tela di lino, sempre impeccabile. Nell’inverno la divisa di panno blu scuro. I suoi abiti erano sempre ben curati, stirati ed ordinati, tutto ciò contribuiva a qualificarlo positivamente.

 

                                                            CAPITOLO    6º

 

Gaspare giornalmente entrava nella piccola sala del ristorante. Spesso ascoltava la lezione che la mia sorellina doveva recitare a memoria, il giorno seguente a scuola. Una volta le disegnò una pianta, che l’insegnante desiderava fosse fatta alla perfezione. Con la sua assidua frequentazione, Gaspare aveva preso un po' di confidenza con i miei libri. Gli piaceva consultare i testi di fisica, matematica e storia. Per la storia, in particolare, aveva molto interesse. Io ero più attratta dalla letteratura e dalla filosofia. A volte facevamo animate discussioni per le opposte predilezioni. “Ma questi problemi filosofici, diceva Gaspare, hanno teorie così strane che ammettono un pensiero a tutto spiano, poi con due parole parole lo negano perchè non può essere valido. Che modo di pensare e ragionare sarebbe questo? Mi piacciono di più le belle poesie, le riflessioni sui sentimenti umani, ma non i ragionamenti campati in aria. Pensi ad esempio a tutte quelle meravigliose descrizioni della località in cui si muovono i personaggi dei Promessi Sposi del Manzoni. La rivolta di Milano, per i fornai, la peste che uccide anche l’Innominato, tanto perverso e sadico in vita, ma al momento del trapasso, pentito e con l’animo pieno di rimorsi. Lucia e sua madre sempre in apprensione e spaventate per l’arroganza cui erano soggette, da chi comandava. Erano però molto buone e fiduciose nella Divina provvidenza. Ci sono tanti episodi di questo meraviglioso romanzo che commuovono. A volte ci farebbero ribellare agli insulti dei prepotenti e dei pusillanimi. Il sacerdote pauroso che pensa solo a sè stesso, perchè minacciato dai “Bravi’ di non celebrare il matrimonio fra Renzo e Lucia. L’allontanamento delle due donne nella barca sul lago di Como, e la tenerezza con cui Lucia salute quel luogo ad essa tanto caro. La piccola Cecilia deposta dalla madre nel carro, che doveva portarla alla sepoltura; al doloroso saluto di addio tanto affettuoso che le indirizza, e rivolgendosi ai Monatti, ai quali consegna qualche moneta pregandoli di non toccare nulla di ciò che indossa la piccolo morta. Leggevamo con un certo interesse le belle poesie del Carducci che commentavamo secondo un nostro giudizio. Ci colpì la poesia di cui ricordo alcuni versi: “Che è mai la vita ?” “L’ombra d’un segno fuggente! La favola breve e finite, il vero immortale è l’amor!” Questi versi dicono tante cose belle e ???? di sentimenti, disse Gaspare; però noi dobbiamo ancora viverla la favola cui accenna il Carducci. Speriamo sia molto lunga la nostra favola della vita e giunti alla fine si possa veramente affermare l’immortalità dell’amore.

 

                                                                  CAPITOLO  7º

 

La segretaria dell’avvocato era finalmente arrivata. Io ritornavo al lavoro nel ristorante. Era un aiuto importante il mio, per il disbrigo della contabilità e del lavoro mattutino al bancone del bar ove si distribuivano, caffè, liquori, caffè latte, dolciumi, focaccia, panini imbottiti, e tanti altri articoli per colazione e merenda, per svolgere queste mansioni necessitavano al  bar tre persone. A partire dalle 7 alle ore 8 ogni mattino,orario in cui gli operai ed gli impiegati dovevano entrare in Arsenale, si affollavano al bancone per richieste varie. Era necessario svolgere il lavoro con prontezza, perchè tutti avevano fretta. Al fischio della seconda sirena, quello delle 8, l’entrata al comprensorio militare, veniva vietata ai ritardatari, i quali perdevano così parte del loro già magro salario.

Il ristorante era ubicato di fronte ad una delle principali porte di accesso all’Arsenale, che ingoiava ogni mattino parecchie centinaia di persone, addette ai lavori. Durante la permanenza nello studio dell’avvocato, avevo potuto notare un certo interessamento di Gaspare nei miei riguardi. Confesso che l’interessamento fu reciproco. Lo studio aveva un balcone in facciata, ed essendo situato al terzo piano del palazzo, godeva di un ottimo punto di osservazione. Dal balcone si poteva osservare l’immensa distesa dell’Arsenale, con le numerose officine e i bacini di carenaggio usato per le navi in riparazione, o in costruzione. Lo spostamento da una zona all’altra della Darsena veniva effettuato per mezzo di un trenino a vapore. Le persone impiegate che si recavano in città approfittavano del mezzo che la direzione dell’arsenale metteva gratuitamente a loro disposizione. Puntualissima alle ore 12 di ogni giorno, io ero al balcone, nell’attesa dell’arrivo del trenino che trasportava Gaspare. Una nuvoletta di fumo, poi un fischio. Quel fischio mi faceva felice, precedeva di un attimo, la presenza della persona che amavo silenziosamente. Lo osservavo scendere dal predellino del treno, e lo seguivo fino all’uscita dalla porta principale. Ne mezzo della moltitudine dei viaggiatori, lo potevo distinguere con facilità, per la sua statura ed il suo incedere compassato abituale. Anche Gaspare conosceva il balcone ove io lo attendevo, e come mi disse in seguito: “Appena sceso dal trenino, il mio pensiero correva con lo sguardo a quel balcone del terzo piano, ove una snella figura di donna mi attendeva”. “ Quella presenza mi rallegrava. Pensavo che qualcuno mi voleva bene !” Ci amavamo in silenzio, accontentandoci solo di poterci vedere, parlare, discutere degli argomenti più disparati, senza esternarci reciprocamente a voce l’amore che coltivavamo e nutrivamo l’uno per  l’altro. In quegli anni fece molto scalpore in Italia un caso giudiziario, che ebbe tanta risonanza anche all’estro. Fu chiamato il caso “Bruneri – Canella” .   Nel cimitero di Collegno, paese nelle vicinanze di Torino, fu arrestato un uomo, colto in flagrante mentre rubava da una tomba un vaso in bronzo, di un cero valore artistico. Fu arrestato, indosso non gli furono trovati documenti di riconoscimento: gli inquirenti si trovarono di fronte un uomo che, fingendosi smemorato, dichiarò di non conoscere la propria identità. La sua immagine apparve su tutti i giornali dell’epoca: si invitava  chi lo avesse riconosciuto a scrivere indicandone le generalità. Da parte di coloro che avrebbero potuto riconoscerlo, furono fatte le più strane e svariate ammissioni. Qualcuno disse di riconoscere in lui un editore libraio, già reo in passato di furti e imbrogli, di cognome Bruneri, residente a Torino. Si presentarono due donne che viste le fotografie erano sicure dell’identità dello smemorato. Una era la moglie di Bruneri, col figlioletto di 15 anni di età, ella giurò di riconoscere in quell’uomo il marito di nome Mario Bruneri, che esercitava il lavoro di editore libraio. L’altra, la moglie del professore di filosofia Canella Giulio, con due figli, e giurò anch’essa di riconoscere nello sconosciuto il proprio marito. La presunta moglie di Bruneri si presentò in abiti modesti e dimessi (come scrivevano i giornalisti dell’epoca). L’altra molto elegante negli abiti e distinta nel portamento. In questi casi così strani, e si direbbe inverosimili, è logico che  i giornalisti andassero a gara per diffondere notizie che a prima vista sembravano vere, ed il giorno seguente venivano rinnegate. Seguirono esami del sangue sui “suoi” figli e sullo sconosciuto, ma tutto risultò insicuro. Furono fatti esami sul patrimonio intellettuale dello smemorato, ma la matassa intrigata, iniziata nel cimitero di Collegno non si dipanò, rimanendo per sempre indecifrata. Dai registri dello stato civile, il professor Canella risultava disperse, o deceduto sul fronte Albanese, ove nel conflitto 1915 – 1918, prestava il  servizio militare, col grado di ufficiale dell’esercito. Erano trascorsi dodici anni dal termine del conflitto, e naturalmente nell’arco di questo tempo, anche la persona presunta Canella sarebbe invecchiata. La signora Canella, usò questa considerazione, che il marito poteva essere invecchiato, ed i tratti potevano giustificare l’immagine del marito. Forse la signora Canella poteva aver preso un abbaglio. Quell’uomo poteva essere un potenziale sosia del vero marito: ciononostante non esitò ad accoglierlo subito in casa sua, considerandolo come il vero marito, a tutti gli effetti. I famigliari del professore che in un primo momento avevano notato la forte somiglianza con il disperse, in seguito si rifiutarono di riconoscere nello smemorato il vero congiunto. Ormai era troppo tardi per tornare indietro. La signora Canella si era compromessa moralmente, perciò insistette nella protezione dello smemorato. Era molto ricca e non badò né a spese né tantomeno ai pettegolezzi. Si trasferì col presunto marito, che nel frattempo gli aveva dato due figli, in Argentina. Della famiglia Bruneri si seppe che il figlio ripudiato ingiustamente dal padre, e cresciuto in un ambiente modesto, al fianco di una madre saggia ed onesta, divenne sacerdote. Della famiglia Canella non si seppe più nulla. In quella saletta del ristorante di Spezia utilizzata pure da ripostiglio svolgevamo la vita intimamente lavorativa e famigliare. Si discuteva anche del rebus Canella – Bruneri. Mia sorella Irma, già insegnante elementare, ogni tanto arrivava dal paese di Corniglia, insegnava in una piccolo frazione del paese, chiamata San Bernardino. Doveva procurarsi i generi alimentari per vivere, perchè in quella povera frazione sperduta fra i boschi  e i vigneti, non avrebbe trovato nulla. Doveva comprare perfino i quaderni per gli scolari, e spesso non le venivano rimborsati i denari spesi per quegli acquisti. Alle nostre discussioni sullo smemorato di Collegno si univano anche le considerazioni di mia mamma e di Irma. Gaspare, a sua volta, aggiungeva le sue opinioni dicendo: “dal giornale di ieri si capiva che lo smemorato è Bruneri: da quello di oggi è Canella ! ” La discussione però finiva sempre con l’incognita. In quei tempi le notizie si apprendevano solo dai giornali. La radio e la televisione, allora non esistevano, o perlomeno la radio trasmetteva solo qualche musica o qualche dialogo in lingue a noi sconosciute. Quasi sempre in lingua tedesca. Irma era promessa sposa ad un ufficiale della marina mercantile che faceva viaggi su navi chiamate motovelieri, in qualità di motorista. Il nome di motoveliero derivava dal fatto che in presenza di vento la nave spiegava le vele, ove in assenza accendeva le caldaie utilizzando il motore a nafta. Il fidanzato di Irma, Ermindo, si recava con la nave, nei porti dell’America Centrale per il trasporto di grano, soia, fagioli, caffè e molti altri articoli di consumo. Quei viaggi interminabili, avevano la durata di tre, o quattro mesi. Ines, la sorella che era rimasta a Campiglia col padre Costantino, fungeva da direttrice della casa e del ristorante che lassù avevamo. Era fidanzata con un  giovane di Campiglia, Ettore, impiegato presso l’Arsenale di La Spezia. La nostra famiglia viveva separata, per ragioni di lavoro. Ci riunivamo ogni tanto per un solo giorno: naturalmente di Domenica per evitare di perdere i clienti che nei giorni lavorativi consumavano i pasti nel nostro ristorante di Spezia.. Mi riferisco agli anni del 1900: anni in cui i mezzi di locomozione e trasporto erano solo il tranvai elettrico e la carrozza a cavallo. Andavamo perciò, dalla città, all’inizio della strada mulattiera (in località Acquasanta) col tranvai, poi a piedi fino a Campiglia, percorrendo 6 chilometri di strada non asfaltata. Il dislivello da superare era di 400 metri, la strada aveva un pendio abbastanza abbordabile. La totalità del percorso per il paese non era eccessivamente faticosa, soprattutto per giovani come noi eravamo. La strada carrozzabile che oggi arriva a Campiglia attraversa la fortificazione di “Costa Rossa”, in quei tempi riservata solo al passaggio delle forze armate. Era zona considerate pericolosa per i grandi depositi di esplosivi ed armi, riposte nelle gallerie sotterranee e scavate nella montagna.. Oggi la fortezza descritta è in disuso; le nuove scoperte di difesa ed offesa sono cambiate. Si parla di aerei supersonici e di bombe atomiche. Ordigni che distruggeranno il mondo intero, se le nazioni che  fabbricano queste armi micidiali non penseranno di agire con coscienza per difendere le persone, e le cose che Iddio ha concesso all’uomo. La fortezza di Costa Rossa allora inviolabile, è oggi quasi scomparsa. Le casematte, la caserma ed il fortino sono completamente ricoperte di arbusti e di piante d’alto fusto che cancellano completamente il primitive aspetto della fortificazione.

 

                                                                          (CONTINUA)

 

 

 

 

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Ultimo aggiornamento: 01-03-08