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oppure scrivendo all'Associazione Campiglia - Via Tramonti n.4 -
19100 La Spezia
Castello di Riomaggiore,
Venerdì 30 Aprile 2004
Nella
splendida e suggestiva ambientazione del Castello di Riomaggiore, si è
tenuta la vernice del libro dedicato a Campiglia e al suo territorio di
Tramonti. Sono intervenuti: il Sindaco di La Spezia Giorgio Pagano, il
Prof. Mauro Mariotti, gli autori del libro Luciano Bonati, Piero
Lorenzelli e Carla Garavaglia, figlia di Jolanda Sturlese, coautrice
scomparsa. Numeroso il pubblico presente. Ha fatto gli onori di casa il
Presidente del Parco Nazionale delle 5 Terre, Franco Bonanini. Sono
seguiti vari interventi a commento del libro, da parte del Presidente
Bonanini, del Sindaco Pagano, di Piero Lorenzelli e di Luciano Bonati,
che ha fatto anche da conduttore della manifestazione. Il Prof. Mariotti
ha espressamente curato la presentazione del testo. Riportiamo, per
intero, la sua critica al libro. E' seguito un ricco
rinfresco per tutti, con prodotti della gastronomia locale e vini tipici
delle 5 Terre.
Presentazione del libro a cura del Prof. Mauro Mariotti
(
Il
Prof. Mauro Giorgio MARIOTTI, biologo, genovese, è docente di botanica
presso la Facoltà di Agraria dell’Università degli Studi di Milano.
Autore di numerose pubblicazioni scientifiche e divulgative, svolge
ricerche sulla flora, sulla vegetazione e sul paesaggio italiano,
approfondendo particolarmente le problematiche di valutazione e gestione
ambientale. E’ coordinatore del Gruppo di Lavoro sulla Conservazione
della Natura della Società Botanica Italiana. Ha partecipato alla
redazione di piani di gestione di aree protette, piani urbanistici e
territoriali curandone in alcuni casi il coordinamento. Sin dal 1980 ha
condotto gli studi sulle aree più meritevoli di conservazione della
Riviera di Levante contribuendo, fra l’altro, alla istituzione del primo
Parco Regionale delle Cinque Terre, per il quale aveva svolto gli studi
propedeutici e redatto le norme di salvaguardia, la maggior parte delle
quali sono ancora in vigore nell’odierno Parco Nazionale. Su Tramonti e
tutta la costa dal Tino sino a Levanto ha pubblicato diverse guide che
illustrano i valori culturali più significativi e una carta del
paesaggio).
La settimana scorsa ho detto a un’amica e collega che oggi sarei venuto
a Riomaggiore a presentare un libro su Tramonti e Lei è rimasta un po’
perplessa. Lei sa che mi occupo di tante cose, ma mai – mi ha detto –
avrebbe immaginato che con tutte le cose che ho da fare mi sarei
lasciato coinvolgere in una iniziativa su come il sole cala ogni sera.
Ho dovuto allora spiegarLe che cosa significa
Tramonti con la T maiuscola. A me, invece, da molti anni Tramonti con la
T maiuscola richiama subito un magnifico tratto della Riviera di
Levante. Bene hanno fatto dunque a precisare nel titolo Tramonti di
Campiglia, ma per quelli che conoscono questa terra, la settima non
c’è bisogno di specificare.
Tramonti è unico soprattutto per coloro che lo
abitano e vi lavorano duramente, ma appare unico anche a chi ha cercato
e cerca di scoprirne i misteri, o almeno quelli che appaiono tali a una
prima impressione.
L’unico e il raro meritano massima considerazione.
Bene ha fatto dunque l’Associazione Campiglia - e in particolare Luciano
Bonati e Piero Lorenzelli - a raccogliere le testimonianze su Tramonti
in questo nuovo libro che ha il sapore della terra, l’aroma della
vendemmia e il colore di un verde paesaggio incorniciato dall’azzurro
del mare.
Bene hanno fatto il Comune della Spezia, il Parco
delle 5 Terre, la Cassa di Risparmio, la Società Editrice Buonaparte di
Sarzana a dedicare questo volume originale e ricchissimo a Tramonti,
distinguendolo da tutte le altre pubblicazioni sulle Cinque Terre.
Questa è la Settima terra che solo persone come quelle che vi vivono
possono descrivere compiutamente.
Il libro è il risultato di un coro a più voci
intonato e finalizzato a illustrare la storia e la memoria, il paesaggio
del presente e del passato, ma anche quello che ci si aspetta per il
futuro. E’ al tempo stesso narrazione e ricerca. Oso dire ricerca
scientifica perché si evidenzia subito che dietro al libro c’è
l’attività costante dell’Associazione Campiglia con le sue indagini
diffuse in tutto il mondo alla ricerca dei campigliesi emigrati, con le
sue coltivazioni sperimentali dello zafferano, con la ricostruzione
della viabilità storica minore, con la riscoperta di ricette che si
stavano perdendo, con la sua attenzione alle arti visive, opere di
pittori e scultori legati a questo borgo in sella a un "cavallo" che
divide fra due mari, un cavallo antico, affaticato, ma non domo e che
vuole, giustamente ancora correre.
Tramonti non è Cinque Terre e non è Porto Venere, ha
una propria identità, quasi una cerniera che unisce e separa i due
territori più noti. Piero Lorenzelli ha dedicato interessanti pagine
alla storia e all’identità particolare di Campiglia riportando, al di là
degli aspetti protostorici legati al menhir di Tramonti, le ipotesi di
Sittoni, dell’inizio del Novecento, sull’origine saracena dei
campigliesi, un’origine quasi vantata dagli abitanti (e di questi tempi
non è poco). Accanto a quelli che un tempo erano gli "infedeli", lo
stesso Lorenzelli accosta l’analisi della profonda religiosità cristiana
dei campigliesi, che ebbero per alcuni periodi due luoghi di culto e che
si impegnarono a fondo per erigere la chiesa di Santa Caterina, una
santa venerata in ben due occasioni nel corso dell’anno. Non mancano nel
libro documenti storici originali, come quello scritto nel 1891 da
Michele Canese ai Savoia nel quale descrive la visita a Campiglia
effettuata nel 1853 dal principe Umberto I. Venendo alla storia più
vicina a noi, è avvincente la storia delle due campigliesi Matilde
Canese ed Enrica Sturlese che nell’agosto del 1944 soccorsero l’aviatore
americano Jules Spach, sopportando il carcere e rischiando concretamente
la fucilazione da parte dei tedeschi.
Ma la storia non è fatta solo di episodi; non meno
interessanti sono le pagine che descrivono la vita e il lavoro nei
campi, le attività che riguardano l’estrazione e la lavorazione
dell’arenaria, la pesca, l’uso parsimonioso dell’acqua. Per un botanico
come me è una solida riconferma delle teorie che evidenziano i legami
fra cambiamenti significativi del paesaggio e l’abbandono di pratiche
rurali nelle quali i vegetali ricoprivano un ruolo essenziale. Le piante
per legare o fare cordami: qui ginestre, là l’ampelodesma, altrove il
salice o i giunchi, il castagno per costruire botti, "corbe" e "coffe",
la paglia di grano per il "saccon" dove riposarsi un poco. Cose d’altri
tempi; ora ci sono la plastica e il materasso a molle. L’abbandono delle
colture di cereali e quello dei castagneti, ma anche l’incuria di
aspetti della vegetazione relativamente più naturali, come la macchia di
erica o di ginestra, hanno segnato e segnano tuttora il paesaggio; essi
incidono anche sulla biodiversità, riducendo in particolare quella di
alcune specie animali.
Sempre a proposito delle piante che forniscono
un’impronta particolare al paesaggio vorrei ricordare la quercia da
sughero. Sono molto affezionato a questa specie perché, dopo la tesi di
laurea vi ho dedicato la mia prima pubblicazione scientifica e
venticinque anni fa sono venuto proprio qui a Schiara e sulla Costa dei
Pozai a studiarla perchè qui vi è uno dei boschi di sughere più estesi
della Liguria. In seguito sono tornato più volte e ho pubblicato lavori
sulla lecceta di Nozzano. Da venticinque anni porto con me una questione
ancora irrisolta: l’origine delle diverse sugherete liguri. Ora leggo in
questo libro che "si narra che un navigante campigliese, al ritorno da
un viaggio, portò con sé alcune piante di sughero che mise a dimora
nella costa sovrastante la zona di Schiara". Certamente sono
affermazioni che meritano una conferma, ma rafforzano un’altra
confidenza fattami diversi anni fa da un abitante di Schiara. Egli
affermava che la sughera era stata portata dalla Provenza e in
particolare da Frejus (una cittadina fondata sull’arenaria) da alcuni
campigliesi che vi erano emigrati come scalpellini.
A volte si cerca di ricostruire le vicende del
paesaggio vegetale mediante analisi polliniche che risalgono a migliaia
di anni fa, altre volte si spulciano i fondi polverosi degli archivi, ma
quante volte più che una causa vi è il caso. L’importazione casuale
della sughera da parte di un singolo campigliese, sia pure da
confermare, ci rammenta come la complessità della natura che deriva
dall’elevatissimo numero di specie (compresa quella umana) e ancor più
dallo straordinario numero di relazioni fra queste specie non può essere
affrontata con una visione deterministica che enfatizza un semplice
rapporto causa-effetto e che riconduce tutto a teorie note o
conoscibili. Il caso del campigliese e delle sue sughere ci rammenta che
chi deve studiare il territorio, la natura o il paesaggio deve
affrontare ogni cosa con una visione olistica avendo coscienza che
troppo spesso è il caso ad avere il sopravvento sulle leggi fisiche,
chimiche sociali o d’altro tipo e avendo coscienza che il mondo dove
viviamo assomiglia più a un immenso ed intricato caos del quale possiamo
conoscere ben poco. Per questo motivo ogni nostra azione deve essere
improntata al principio di precauzione; poiché non possiamo prevedere
ogni cosa e poiché la casualità è elevata, dobbiamo comportarci con
onestà riconoscendo la necessità di non mettere a rischio la vita e
l’ambiente.
Non credo che Lorenzelli quando ha riferito l’ipotesi
sull’origine della sughera a Tramonti abbia voluto stimolare tutte
queste riflessioni. Però credo di essere nel vero quando dico che il
libro è pervaso da un approccio corretto per la valorizzazione del
territorio in tutta la sua complessità, della quale evidenzia episodi
casuali e ricorrenti e rispetta la natura non solo delle cose esistenti,
ma anche delle relazioni fra l’uomo, le pietre, le piante e gli animali.
Al centro del volume è la ristampa quasi completa del
libro "La mia gente" di Jolanda Sturlese. Una scrittrice che attraverso
l’intimo diario famigliare traccia in modo preciso la vita dei
campigliesi, le loro usanze, il loro stretto abbraccio alla terra.
Poi attraverso le storie paesane di Luciano Bonati si
entra pian piano nell’attualità. Credo che episodi come la pesca
miracolosa favorita dai nefasti bombardamenti oppure il faticoso lavoro
delle donne che portavano i prodotti dell’orto a Porto Venere, la
produzione del sale in tempo di guerra che comportava un andirivieni
continuo con carichi di legna e il rischio di essere mitragliati possano
affascinare non solo quelli come me che solo per pochi anni non li hanno
vissuti, ma anche i giovani d’oggi.
Lo stesso Bonati conferisce al libro una funzione
pratica rispolverando ricette tipiche: l’agliata, gli erbi, il coniglio
di Campiglia, "er boneto" (la bomba di riso), "er peo frito", tutti
piatti che ognuno di noi potrebbe sperimentare nella propria cucina, ma
che sarebbe meglio provare in qualche ristorante di Tramonti o nella
casa di qualche amico campigliese. Un discorso a parte meritano le
ricette di Maria Sturlese del ristorante "La Lampara" elaborate con lo
zafferano sulla base di antiche usanze rivalutate dopo la recente
reintroduzione della coltura di questa splendida iridacea.
Di notevole importanza è il capitolo sui sentieri.
Luciano Bonati descrive dieci antichi percorsi e li traccia su una carta
di facile lettura. Li descrive minuziosamente e soprattutto nella loro
attualità. L’importanza è legata al fatto che a Tramonti le frane e la
vegetazione sono protagonisti di fenomeni dinamici piuttosto veloci e da
un anno all’altro possono scomparire tratti anche lunghi di sentieri. Il
libro fotografa lo stato di salute della rete escursionistica di
Tramonti, ne ripercorre la storia e ne mette in evidenza le peculiarità
che l’escursionista, (quello che un tempo veniva chiamato il viandante)
può osservare.
E in ultimo il libro si apre sul futuro: l’attività
della giovane Associazione Campiglia, che in soli cinque anni ha animato
la piccola comunità con diverse iniziative culturali e pratiche, la già
menzionata coltura dello zafferano, il restauro e la nuova destinazione
del seicentesco mulino a vento, uno dei più importanti edifici simbolo
del paese, il recupero dei sentieri e l’adeguamento della viabilità
interpoderale nel rispetto del paesaggio, il ripristino di alcuni
terrazzamenti e il progetto di una cantina comune per il "rinforzato" di
Campiglia, un vino che potrà avere un sicuro avvenire.
Dal 1979 ho percorso moltissime volte i sentieri di
Tramonti e sono stato più volte a Campiglia: Tramonti mi ha sempre
affascinato. Vi trovo sempre una bellezza e un poco di mistero nel
paesaggio che è, proprio a Tramonti, l'impronta e la memoria della
natura e dell'uomo. Il valore identitario di Tramonti come paesaggio
vissuto e ancora vivo viene messo correttamente in luce dal libro. Avere
coscienza del valore identitario di Tramonti è essenziale anche per una
gestione partecipata del territorio e per la sua tutela attiva e, come
si usa dire ora sostenibile, un termine nuovo che sta a significare
quello che un tempo era il comune buon senso di comportarsi di cui
diversi sono gli esempi da imitare in questo volume.
Mauro Mariotti
Da sinistra: Presidente Bonanini, Prof. Mariotti,
Bonati
Da sinistra: Sindaco Pagano,
Presidente Bonanini, Lorenzelli, Bonati
Il pubblico intervenuto.
Recensione
del libro, a cura di
Ilio Rota
Et
iam summa procul villarum
culmina fumant
Virgilio (Bucoliche
I (83-84)
(E già in lontananza fumano
i comignoli dei casolari)
Chiamato
ad esprimermi sulla pubblicazione di un volume che ha l’ambizioso
progetto di fare maggiormente conoscere una piccola parte del territorio
spezzino, ho accettato, lusingato, sia per il valore nei contenuti che
per l’amicizia che mi lega ad alcuni degli autori.
“ Tramonti di Campiglia – La
settima terra “ rappresenta ricerca costante e volontà, espressioni di
affetto nel dare alle stampe così prezioso studio sulle origini del
borgo.
Gli uomini, le memorie, le
tradizioni, il futuro, argomenti trattati in forma icastica e struggente
vena poetica da Piero Lorenzelli, Luciano Bonati, Jolanda Sturlese.
Gente umile con una religiosità
legata al territorio e vocazione marinara, naturale simbiosi fra rupi a
specchio sulle onde.
E nel ricordo degli antenati la
trama di eventi lieti e tristi nel tempo, le piccole ma importanti
storie dei singoli e delle famiglie, gli Autori ripercorrono l’infanzia
e i racconti ingenui fiabeschi loro tramandati.
Affiorano prepotenti richiami di
campanilismo e privilegi, valori e insegnamenti nella costante tenacia
generazionale, tematiche del mondo contadino.
La prosa, nella stesura
colorita e scorrevole, e’ di piacevole lettura in sintonia con le
numerevoli ed artistiche immagini fotografiche.
Completano l’opera un compendio
di prospettive turistiche, artistiche, sociali, curato dall’Associazione
Campiglia e una dettagliata base cartografica (in allegato) del Comune
della Spezia
Gli
Autori del libro, a sinistra Luciano Bonati e Piero
Lorenzelli, a Campiglia